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Ciavardello (Sorbus torminalis Crantz)
Famiglia: Rosaceae
Nome Volgare: Sorbo selvatico
ETIMOLOGIA
L’epiteto specifico torminalis significa letteralmente “che guarisce le coliche” e fa riferimento all’uso che si faceva, in passato, dei frutti della pianta.
MORFOLOGIA
Il ciavardello è un albero di terza grandezza, che può raggiungere altezze di 15-20 m (eccezionalmente 25), anche se a volte si presenta con portamento cespuglioso, soprattutto se
cresce in condizioni di scarsa luminosità. La corteccia è bruna, liscia negli esemplari giovani,
rugosa ed irregolarmente fessurata in quelli più vecchi, solitamente ornata con lenticelle
chiare ed ellittiche. I rami formano una corona ampia e tendenzialmente appiattita, la
cui inserzione sul tronco è molto variabile e risente spesso degli effetti dei pregressi trattamenti
selvicolturali. Le foglie sono alterne, semplici e dotate di un lungo picciolo, mentre
la lamina presenta 3-4 coppie di lobi profondi ed acuti, irregolarmente dentati ai margini.
Le giovani foglie sono ricoperte da un fitto strato di peli, che scompare con la maturità. In
autunno, prima di cadere, assumono una tipica colorazione rosso sanguigno. I fiori sono
ermafroditi, riuniti in corimbi ampi ed eretti; i petali sono bianchi e le antere giallastre. La
fioritura avviene in maggio-giugno. Il frutto (falso) è un pomo ovoidale, con diametro che
oscilla intorno al centimetro e di colore giallo rossastro puntinato, che volge al bruno a maturità,
in settembre. L’acidità della sua polpa lo rende molto gradito agli uccelli, che, nutrendosene,
favoriscono la disseminazione della specie. Ogni frutto contiene fino a 4 semi,
i quali presentano fenomeni di dormienza particolarmente pronunciati. Il ciavardello, come
la maggior parte delle Rosaceae, è molto precoce nella fruttificazione, che può già avvenire
intorno ai 7-8 anni di età.
DIFFUSIONE e HABITAT
L’areale della specie è molto vasto, estendendosi dall’Inghilterra all’Africa settentrionale e all’Asia minore e, verso est, fino all’Europa orientale. In Italia la specie è diffusa quasiovunque, sebbene spesso poco considerata dagli stessi operatori forestali. Il ciavardello vive sporadico all’interno di boschi misti di latifoglie dei piani basale e montano, spesso querceti di rovere a carpino bianco, cerrete e boschi di transizione con la foresta mediterranea sempreverde, fino ad una quota di circa 1.000 m s.l.m., sebbene il suo optimum si collochitra 300 e 700 m. Alcuni esemplari riescono a sopravvivere anche su pendici detritiche e tra le rupi. Il limite settentrionale è rappresentato dalle prealpi lombarde. Non si tratta di un albero particolarmente longevo, che solo raramente può arrivare a 100 anni di età; tuttavia i trattamenti selvicolturali ordinariamente adottati per la specie ne prevedono il prelievo non oltre 40-50 anni.
La specie è tendenzialmente termofila e necessita di estati lunghe e calde, sebbene presenti una buona resistenza ai freddi invernali ed alle gelate primaverili. Presenta una spiccata eliofilia e si difende dalla concorrenza di erbe ad arbusti con un rapido sviluppo giovanile. In seguito, l’accrescimento risulta più lento, anche se ciò pare dovuto soprattutto alla carenza di spazio in cui gli esemplari solitamente vegetano. La specie può essere considerata come colonizzatrice secondaria, caratterizzata da un ruolo secondario nelle cenosi forestali: il ciavardello infatti non forma popolamenti puri stabili e si trova isolato o, tutt’alpiù, in piccoli gruppi, spesso originatisi agamicamente da un’unica pianta madre. Dal punto di vista edafico il ciavardello si conferma specie plastica ed adattabile, rifuggendo solo da terreni scarsamente impermeabili od eccessivamente acidi. Studi genetici aventi come oggetto il ciavardello sono estremamente scarsi. Daniel nel 1991 analizzò la struttura e la differenziazione genetica di popolamenti della Francia e della Jugoslavia: l’autore evidenziò una struttura genetica fortemente sbilanciata a favore degli omozigoti (presumibilmente dovuta ad autofecondazione o incrocio tra individui imparentati,a loro volta conseguenza della ridotta densità della specie). La differenziazione genetica è risultata pari a 0.1 (il che significa che, dell’intera variabilità osservata, il 90% è imputabile a differenze interne alle popolazioni e solo il rimanente 10% a differenze tra popolazioni diverse). Il valore di differenziazione genetica si riduce ulteriormente (fin verso 0.035) se ci si limita ad analizzare popolazioni della stessa regione geografica. A risultati analoghi giunsero Demesure e coll. (2000), i quali analizzarono circa 70 popolamenti, distribuiti per la maggior parte in Francia, ma anche in Slovacchia, Slovenia, Bulgaria e Svizzera.
IMPIANTO
Per l’impianto è utile scegliere piante coltivate in vivaio perché essendo una pianta fittonante l’ espianto risulterebbe difficoltoso e il taglio della radice principale creerebbe rallentamenti nella crescita. Tuttavia si possono trapiantare piccole piante di 2-3 anni con radici ancora superficiali. L’impianto va effettuato in terreno leggero e leggermente acido.
USI e PROPRIETA’
Il legno, di colore rosso-bruno scuro è particolarmente duro e compatto, per cui risulta
molto pregiato per impieghi in lavori di ebanisteria e per nobilitare pannelli realizzati con
legno di minor qualità.
I frutti ricchi di vitamina C del ciavardello, pianta divenuta rara, hanno fornito un tempo la materia prima per marmellate e sciroppi, oggi per un liquore apprezzato dai conoscitori. I fiori bianchi in pannocchie spinose sono amati dalle api.
MALATTIE
Il ciavardello in alcune zone d’Italia presentava una insolita malattia fogliare. Le piante mostravano, sulla pagina superiore delle foglie, numerose pustole di color arancio di forma pressoché circolare con pustole erompenti dalla lamina superiore che rendevano la foglia ruvida al tatto. Nei casi di marcata diffusione le piante apparivano fittamente pigmentate di giallo, a causa dell’alternanza cromatica del verde brillante della foglia con il colore aranciato delle pustole.
Da osservazioni condotte in laboratorio le maculature fogliari sono state attribuite alla presenza di Gymnosporangium spp. (fungo basidiomicete ordine Uredinales), agente di ruggine fogliare che può causare defogliazioni delle piante colpite.
La presenza del Gymnosporangium segnala comunque un aspetto positivo che riguarda l’ambiente. I funghi agenti di ruggine sono molto sensibili agli inquinanti dell’aria e funzionano come bio-indicatori: la loro diffusione è indice di aria non inquinata
CURIOSITA’
Insieme ad altri strumenti di misura, fino alla metà del XX secolo le righe di molti scolari erano costruite per lo più con legno di ciavardello.
COME PASTURA
Per tutti i turdidi come per molte specie di passo il ciavardello rappresenta un frutto molto invitante.
Peppole,frosoni, tordi, merli e molte altre specie quando trovano una pianta con bacche mature difficilmente la lasciano finchè non sono finite.
Ma mentre i turdidi ingoiano la bacca intera, peppole e frosoni amano toglierne il seme facendone razzia in breve tempo.
Essendo un albero che si trova più verso la collina che in montagna sostituisce quelle varietà di sorbo presenti in montagna.
Famiglia: Rosaceae
Nome Volgare: Sorbo selvatico
ETIMOLOGIA
L’epiteto specifico torminalis significa letteralmente “che guarisce le coliche” e fa riferimento all’uso che si faceva, in passato, dei frutti della pianta.
MORFOLOGIA
Il ciavardello è un albero di terza grandezza, che può raggiungere altezze di 15-20 m (eccezionalmente 25), anche se a volte si presenta con portamento cespuglioso, soprattutto se
cresce in condizioni di scarsa luminosità. La corteccia è bruna, liscia negli esemplari giovani,
rugosa ed irregolarmente fessurata in quelli più vecchi, solitamente ornata con lenticelle
chiare ed ellittiche. I rami formano una corona ampia e tendenzialmente appiattita, la
cui inserzione sul tronco è molto variabile e risente spesso degli effetti dei pregressi trattamenti
selvicolturali. Le foglie sono alterne, semplici e dotate di un lungo picciolo, mentre
la lamina presenta 3-4 coppie di lobi profondi ed acuti, irregolarmente dentati ai margini.
Le giovani foglie sono ricoperte da un fitto strato di peli, che scompare con la maturità. In
autunno, prima di cadere, assumono una tipica colorazione rosso sanguigno. I fiori sono
ermafroditi, riuniti in corimbi ampi ed eretti; i petali sono bianchi e le antere giallastre. La
fioritura avviene in maggio-giugno. Il frutto (falso) è un pomo ovoidale, con diametro che
oscilla intorno al centimetro e di colore giallo rossastro puntinato, che volge al bruno a maturità,
in settembre. L’acidità della sua polpa lo rende molto gradito agli uccelli, che, nutrendosene,
favoriscono la disseminazione della specie. Ogni frutto contiene fino a 4 semi,
i quali presentano fenomeni di dormienza particolarmente pronunciati. Il ciavardello, come
la maggior parte delle Rosaceae, è molto precoce nella fruttificazione, che può già avvenire
intorno ai 7-8 anni di età.
DIFFUSIONE e HABITAT
L’areale della specie è molto vasto, estendendosi dall’Inghilterra all’Africa settentrionale e all’Asia minore e, verso est, fino all’Europa orientale. In Italia la specie è diffusa quasiovunque, sebbene spesso poco considerata dagli stessi operatori forestali. Il ciavardello vive sporadico all’interno di boschi misti di latifoglie dei piani basale e montano, spesso querceti di rovere a carpino bianco, cerrete e boschi di transizione con la foresta mediterranea sempreverde, fino ad una quota di circa 1.000 m s.l.m., sebbene il suo optimum si collochitra 300 e 700 m. Alcuni esemplari riescono a sopravvivere anche su pendici detritiche e tra le rupi. Il limite settentrionale è rappresentato dalle prealpi lombarde. Non si tratta di un albero particolarmente longevo, che solo raramente può arrivare a 100 anni di età; tuttavia i trattamenti selvicolturali ordinariamente adottati per la specie ne prevedono il prelievo non oltre 40-50 anni.
La specie è tendenzialmente termofila e necessita di estati lunghe e calde, sebbene presenti una buona resistenza ai freddi invernali ed alle gelate primaverili. Presenta una spiccata eliofilia e si difende dalla concorrenza di erbe ad arbusti con un rapido sviluppo giovanile. In seguito, l’accrescimento risulta più lento, anche se ciò pare dovuto soprattutto alla carenza di spazio in cui gli esemplari solitamente vegetano. La specie può essere considerata come colonizzatrice secondaria, caratterizzata da un ruolo secondario nelle cenosi forestali: il ciavardello infatti non forma popolamenti puri stabili e si trova isolato o, tutt’alpiù, in piccoli gruppi, spesso originatisi agamicamente da un’unica pianta madre. Dal punto di vista edafico il ciavardello si conferma specie plastica ed adattabile, rifuggendo solo da terreni scarsamente impermeabili od eccessivamente acidi. Studi genetici aventi come oggetto il ciavardello sono estremamente scarsi. Daniel nel 1991 analizzò la struttura e la differenziazione genetica di popolamenti della Francia e della Jugoslavia: l’autore evidenziò una struttura genetica fortemente sbilanciata a favore degli omozigoti (presumibilmente dovuta ad autofecondazione o incrocio tra individui imparentati,a loro volta conseguenza della ridotta densità della specie). La differenziazione genetica è risultata pari a 0.1 (il che significa che, dell’intera variabilità osservata, il 90% è imputabile a differenze interne alle popolazioni e solo il rimanente 10% a differenze tra popolazioni diverse). Il valore di differenziazione genetica si riduce ulteriormente (fin verso 0.035) se ci si limita ad analizzare popolazioni della stessa regione geografica. A risultati analoghi giunsero Demesure e coll. (2000), i quali analizzarono circa 70 popolamenti, distribuiti per la maggior parte in Francia, ma anche in Slovacchia, Slovenia, Bulgaria e Svizzera.
IMPIANTO
Per l’impianto è utile scegliere piante coltivate in vivaio perché essendo una pianta fittonante l’ espianto risulterebbe difficoltoso e il taglio della radice principale creerebbe rallentamenti nella crescita. Tuttavia si possono trapiantare piccole piante di 2-3 anni con radici ancora superficiali. L’impianto va effettuato in terreno leggero e leggermente acido.
USI e PROPRIETA’
Il legno, di colore rosso-bruno scuro è particolarmente duro e compatto, per cui risulta
molto pregiato per impieghi in lavori di ebanisteria e per nobilitare pannelli realizzati con
legno di minor qualità.
I frutti ricchi di vitamina C del ciavardello, pianta divenuta rara, hanno fornito un tempo la materia prima per marmellate e sciroppi, oggi per un liquore apprezzato dai conoscitori. I fiori bianchi in pannocchie spinose sono amati dalle api.
MALATTIE
Il ciavardello in alcune zone d’Italia presentava una insolita malattia fogliare. Le piante mostravano, sulla pagina superiore delle foglie, numerose pustole di color arancio di forma pressoché circolare con pustole erompenti dalla lamina superiore che rendevano la foglia ruvida al tatto. Nei casi di marcata diffusione le piante apparivano fittamente pigmentate di giallo, a causa dell’alternanza cromatica del verde brillante della foglia con il colore aranciato delle pustole.
Da osservazioni condotte in laboratorio le maculature fogliari sono state attribuite alla presenza di Gymnosporangium spp. (fungo basidiomicete ordine Uredinales), agente di ruggine fogliare che può causare defogliazioni delle piante colpite.
La presenza del Gymnosporangium segnala comunque un aspetto positivo che riguarda l’ambiente. I funghi agenti di ruggine sono molto sensibili agli inquinanti dell’aria e funzionano come bio-indicatori: la loro diffusione è indice di aria non inquinata
CURIOSITA’
Insieme ad altri strumenti di misura, fino alla metà del XX secolo le righe di molti scolari erano costruite per lo più con legno di ciavardello.
COME PASTURA
Per tutti i turdidi come per molte specie di passo il ciavardello rappresenta un frutto molto invitante.
Peppole,frosoni, tordi, merli e molte altre specie quando trovano una pianta con bacche mature difficilmente la lasciano finchè non sono finite.
Ma mentre i turdidi ingoiano la bacca intera, peppole e frosoni amano toglierne il seme facendone razzia in breve tempo.
Essendo un albero che si trova più verso la collina che in montagna sostituisce quelle varietà di sorbo presenti in montagna.