Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola (1 utente sta leggendo)

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Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

catanino78 ha scritto:
io suggerisco vivamente di allontanare il maschio prima della schiusa, perchè è molto aggressivo e molto spesso uccide i piccoli, lo si può lasciare anche all'interno della voliera in una gabbia, per quanto riguarada le balie vi è un altro problema oltre a rischirae che i piccoli prendano la trillata del canarino, il fringuello nei primi giorni necessità di una alimentazione ad alta prevalenza insettivoria quindi eventuali balie di canarino andrebbero adeguatamente preparate e questo non è sempre facile, nessun problema se i piccoli si passano a balia dopo i 10 giorni quando la loro alimentazione è già più granivora,
saluti a tutti

io preferisco non usare balie, x il problema dei trilli, comunque il problema dell'alimentazione si risolve facilmente, basta abituare il canarino con un mangime specifico per insittivori, cosa molto semplice
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Turdus ha scritto:
Mirko ricordati le foto dei fringuelli a spalla bianca.

Ciao

Maurizio

P.S. Curiosità, cosa costano dei fringuelli come richiamo?
pagati sabato 45 euro..allevamento italiano e nati nel 2008..splendidi..maschi s'intende.
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Turdus ha scritto:
Mirko ricordati le foto dei fringuelli a spalla bianca.

Ciao

Maurizio

P.S. Curiosità, cosa costano dei fringuelli come richiamo?

piu' o meno ora son quelli i prezzi....poi si trova a periodi anche di meno...
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

botahv79 ha scritto:
io preferisco non usare balie, x il problema dei trilli, comunque il problema dell'alimentazione si risolve facilmente, basta abituare il canarino con un mangime specifico per insittivori, cosa molto semplice

Concordo, con un ottimo mangime specifico si risolve il problema.
Ciao
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Le voci degli uccelli: segnali acustici.

Se tutti gli uccelli fossero muti, all’inizio dell’estate il paesaggio, che si vivacizza con i loro canti e i loro richiami, ci sembrerebbe morto. Gli uccelli, in particolar modo quelli canori, comunicano soprattutto in maniera acustica. Nel periodo della riproduzione, il canto del maschio assume il molo principale nella quantità delle espressioni sonore. Inoltre conosciamo diversi richiami, nei maschi, nelle femmine e negli uccelli giovani, che non sono complicati come il canto e che per lo più svolgono anche altre funzioni. Se in un parco cittadino molti uccelli cantano in contemporanea, risulta difficile anche per l’esperto distinguere le singole specie. Anche nel caso delle forme universalmente note, come per esempio il fringuello c’è ancora molto da scoprire per quello che riguarda il canto e i richiami. Però il canto del fringuello o di un altro uccello, per quanto forte e preciso possa giungere al nostro orecchio, si smorza troppo velocemente per poterlo percepire in tutti i suoi dettagli. I segnali acustici, come tutti gli altri comportamenti, sono molto fugaci e perciò dobbiamo renderli “visibili” per poterli interpretare correttamente.

Una trascrizione fonetica delle voci degli uccelli: il Sonogramma

Già da lungo tempo ci si è sforzati di rappresentare nero su bianco le voci degli uccelli, per esempio con la notazione musicale e gli altri procedimenti che ne derivano. Il risultato risulta particolarmente inattendibile quando tentiamo una trascrizione con l’aiuto della lingua o della scrittura. Il sonogramma invece fornisce un quadro obiettivo dei fenomeni acustici. Da circa 30 anni, il sonografo proveniente dagli Stati Uniti è stato adottato nella bio-acustica. Questo apparecchio produce delle annotazioni che si leggono come la nostra scrittura da sinistra verso destra. Il sonogramma Standard analizza un lasso di tempo di 2,5 s. Oggi però già esistono apparecchi che funzionano in modo continuo.
In una seconda dimensione, perpendicolare all ”asse temporale” orizzontale, il sonografo analizza i fenomeni acustici secondo l’altezza dei loro toni. La distanza dalla base a cui viene tracciato il tono, aumenta in proporzione diretta all’altezza dello stesso. Poichè gli uccelli come gli esseri umani esprimono i loro suoni in un ambito che va da 0 a 8 kHz (1 kHz = 1.000 Hz = 1.000 vibrazioni al secondo), sceglieremo questo ambito per l’analisi. L’apparecchio scrive con una punta che in verticale ha un’ampiezza di 300 Hz.
Nel sonogramma esiste anche una terza dimensione. La rappresentazione del segnale è tanto più scura, quanto più forte è la registrazione dello stesso. Generalmente possiamo valutare questa dimensione solo in modo relativo e perciò non la prenderemo in considerazione nelle nostre riflessioni.

Tono, suono e rumore

Dal punto di vista fisico, i toni puri non compaiono di frequente neanche nella stessa musica. Essi vengono prodotti principalmente dal flauto. Nel sonogramma, come si vede dalla Fig. 102, sono rappresentati da linee orizzontali. Riconosciamo l’altezza dei toni progressivamente crescenti dei primi elementi della melodia della canzone per bambini “Alle meine Entchen” per flauto. Lo spessore della linea si trova, come detto sopra. a circa 300 Hz. I due ultimi elementi mostrano già un sovratono, quindi non sono già più puri. Il violino emette tutta una serie di tali sovratoni (Fig. 102-b), quando attacca il primo “tono” di questa canzone per bambini.
Questa forma la definiamo suono. Infine, i rumori sono sparsi in modo diversificato tra tutti i settori dell’altezza dei toni, come nello schiocco delle dita (Fig. 102-C), nel battito delle mani (d) e nello schiocco della lingua (e, rumore doppio).
Se le voci degli uccelli sono costituite da toni, questi sono quasi sempre modulati, ciò significa che si alzano e si abbassano. Il semplice elemento del canto del luì piccolo mostra già un modello complicato (Fig. 102-f).
Ai suoni emessi dagli uccelli si possono sovrapporre anche altre vibrazioni (vibrato) e ciò porta ad suono roco o ad un suono nasale. Anche la voce umana si può analizzare col sonografo (Fig. 102-g). La parola umana “Zilpzalp” mostra però una scarsa somiglianza col modello dell’uccello imitato. Riconosciamo però che la “Z” si presenta come rumore nella zona della frequenza superiore, il resto è un timbro modulato di frequenza con un vibrato marcato, come è caratteristico della voce dell’uomo. Sul linguaggio delle voci degli uccelli vedere la Fig. 103.

Fig. 102


Fig. 103


La struttura temporale del canto

Sull’esempio del fringuello presentiamo la suddivisione temporale e la distribuzione del canto degli uccelli. La maggior parte delle specie di uccelli presenti nelle nostre zone cantano solo nel periodo della riproduzione, in primavera ed in estate. Con l’inizio della muta in luglio-agosto cessa il canto, che pero può riprendere per un breve periodo in autunno (Fig. 104-b/a). Il fringuello, come la maggior parte delle nostre specie di uccelli, è un uccello diurno. Inizia a cantare sul fare del giorno e prosegue fino a sera inoltrata (Fig. 104-b/b), di primo mattino il canto raggiunge la sua massima intensità, e poi al procedere del giorno si presenta con una frequenza sempre più ridotta. Molte specie si concedono una pausa nelle ore più calde del mezzogiorno. Il canto del fringuello è costituito da una sequenza di strofe (fig 104-b/c) che definiamo spinta o serie se è delimitata da pause. Alcune specie di uccelli, per esempio l’allodola maggiore o la silvia palustre, o in modo ancora più appariscente le specie di locustella, cantano senza interruzioni per svariati minuti o addirittura per interi quarti d’ora prima di concedersi una pausa.

Fig. 104-a


La strofa del fringuello è composta da diverse parti (Fig. l04-b/d). Nel sonogramma, definiamo come elemento la più piccola unità delimitata da un intervallo, dunque un annerimento continuo.
Tuttavia anche un tale elemento può essere a sua volta scomposto in sottounità. L’unione di più elementi diversi forma una sillaba. Spesso col semplice udito non si possono isolare i singoli elementi di una sillaba. Definiamo come frase il susseguirsi di elementi o sillabe omogenee. A seconda della specie e della durata dell’ elemento essa presenta un suono ronzante, nasale o trillante, vale a dire che la percepiamo semplicemente come una successione di elementi ritmici.
Definiamo come motivo una sequenza riconoscibile di diversi elementi. Il ghirigoro della strofa del fringuello costituisce un motivo tipico. Col termine strofa intendiamo una sequenza continua e temporalmente limitata di elementi, frasi, sillabe o motivi, che è separata dalla seguente da una pausa più lunga. Il susseguirsi di più strofe viene definito canto (Fig. 104-b/c).

Fig. 104-b


La produzione dei suoni

L’organo vocale degli uccelli non si trova nella laringe come negli uomini, ma molto più in basso, lì dove la trachea si biforca nei due bronchi, che riforniscono i lobi polmonari (Fig. 105). Questa biforcazione la chiamano siringe. dalla parola greca che indica il flauto di Pan.
Nella parte interna della biforcazione degli uccelli canori si trova una sottile membrana di forma ovale, la membrana interna timpanale. Durante la fase di espirazione, cioè quando l’animale butta fuori l’aria dai rispettivi sacchi aerei, la membrana vibra ed emette dei suoni.
Sulla qualità di questo suono incidono sia la pressione dei sacchi aerei circostanti che la lunghezza della trachea, l’attività della muscolatura della siringe, la velocità dell’aria che passa sfiorandola ed altro ancora. Per gli ulteriori effetti, come il vibrato dobbiamo supporre che nella siringe esistano altri meccanismi che producono suoni. Vale la pena segnalare, che le due metà simmetriche della siringe possono lavorare anche in modo indipendente. L’uccello può dunque cantare o emettere richiami a due voci. La maggior parte delle volte ripartisce l’espressione sonora in parti disuguali sulle due metà. In questo la parte sinistra della siringe domina come avviene per la rispettiva regione cerebrale. Anche nella produzione del linguaggio umano domina l’emisfero cerebrale sinistro.

Fig. 105


Negli uccelli, come del resto negli esseri umani, la produzione sonora non avviene solo esclusivamente attraverso l’organo vocale. Già il linguaggio umano contiene un gran numero di suoni che non sono prodotti con le corde vocali della laringe: per esempio p, t, k, ma anche la sibilante muta “s” e la doppia consonante “z”.
Secondo tutte le apparenze, gli uccelli possono produrre con la siringe anche dei rumori. Inoltre, essi usano una serie di altri organi per la produzione sonora strumentale: il picchio tamburella col becco su uno strumento di risonanza estraneo al corpo. In una fase di picchiata obliqua del suo volo di perlustrazione, il beccaccino produce un piagnucoloso belato con le penne timoniere esterne (“capra del cielo” è appunto l’altro nome tedesco del beccaccino “Himmelsziege”, n.d.T.).
Durante il volo molte specie di anatre producono dei suoni sibilanti con le ali. Durante le contrapposizioni aggressive il becco del fringuello produce (Fig. 113-h) una serie di rumori strepitanti. Definiamo come suoni strumentali tutti questi segnali acustici non vocali e li contrapponiamo ai suoni vocali.

L’inventario sonoro del fringuello

Poichè il fringuello (Fringilla coelebs) è uno degli uccelli canori più frequenti nell’Europa centrale ed, oltretutto, nelle sue espressioni sonore è una delle specie più conosciute (Marler, 1956), vogliamo prenderlo ad esempio per provare a gettare uno sguardo d’insieme sull’inventano sonoro di un uccello canoro. I richiami e i canti di diverse altre specie di uccelli, in particolare del merlo e della cinciallegra maggiore si trovano, insieme ai sonogrammi, sui dischi di Thielcke. Nel frattempo, sono reperibili in commercio numerosi dischi e cassette registrate con le incisioni delle voci degli uccelli, che offrono una panoramica sulla molteplicità di queste voci e rappresentano un valido aiuto per riconoscere una specie.

I canti

Il canto pieno

Abbiamo già fatto prima la conoscenza della strofa del canto pieno del fringuello. Per quanto sia semplice riconoscere una strofa di fringuello come tale, bisogna ammettere che esistono tante variazioni nel dettaglio della strofa stessa.
Per esempio alcune terminano con un breve “kit” (chit) o “ken” (chen) mentre ad altre questo elemento manca.
Thielcke (1962) ha stabilito che esso concorda ampiamente con un frequente richiamo del picchio rosso. L’affermazione che in realtà ci troviamo di fronte all’imitazione di un individuo di un’ altra specie, sarebbe più sicura se in questo punto della strofa si trovassero anche altre imitazioni.
Nella Grecia nordorientale i fringuelli aggiungono a volte alle loro strofe un breve “tjip” (tiep), che corrisponde esattamente al dialetto di inquietudine dei luì bianchi locali (Fig. 106).
I fringuelli manifestano dunque la tendenza ad inserire alla fine della loro strofa dei brevi richiami di uccelli di altre specie. Probabilmente questi richiami si tramandano da fringuello a fringuello.
Se si ascoltano due maschi di fringuello che cantano l’uno accanto all’altro, generalmente è possibile distinguere i due animali dal loro tipo di strofa. Le strofe suonano diverse già dall’inizio, ma sono soprattutto i ghirigori ad essere strutturati diversamente.

Fig. 106


Che ruolo svolga il canto nella vita di un maschio di fringuello, si può comprendere dal tempo che esso dedica a questa attività. Una strofa ha una durata di circa 3 secondi. All’inizio dell’estate un fringuello che canta di buona lena ne produce circa 4.000 in una sola giornata. Moltiplicando i due dati si ottiene un lasso di tempo di 12.000 secondi, vale a dire 200 minuti o 3 ore e 20 minuti. Se supponiamo che il fringuello in linea di massima è attivo per 16 ore al giorno otteniamo che esso dedica al canto più del 20% del suo tempo. In questo arco di tempo esso non può nè nutrirsi, nè curare il suo piumaggio o dormire. Purtroppo non sappiamo esattamente quanta energia impieghi per cantare 3 o 4 ore. Dobbiamo però supporre che un canto così intenso e frequente gli consente un delimitazione del suo territorio relativamente più economica di un’ attenzione costante in tutte le direzioni e di ripetuti attacchi contro gli intrusi.

Il canto in volo

Solo in presenza di un’ elevata inquietudine, a volte il fringuello emette un strofa anche durante il volo. Invece, per altre specie di uccelli il canto in voi costituisce una manifestazione tipica. E’ particolarmente diffuso tra quelle specie che popolano grandi spazi aperti. In questo caso, vale la pena di combinare segnale acustico con la messa in mostra visiva.
Un esempio conosciuto è quello del prispolone (Anthus trivialis, Fig. 107), che dopo una ripida ascesa con la coda rigida e le ali spiegate, si abbassa cantando ad alta voce e atterra sul posto di osservazione da lui prescelto per emettere il suo canto. Mentre alcune specie di uccelli cantano durante il volo ed altre prevalentemente appollaiate in cima a un punto di osservazione, esistono solo poche specie che preferiscono cantare celate al riparo di una copertura.

Fig.107


L’hobby del canto del fringuello

In una delle domeniche di giugno gli amanti dei fringuelli di una regione incontrano in un luogo prestabilito.
Portano le gabbie con i loro uccelli ben coperte da fazzoletti con ricami variopinti e le sistemano una accanto all’altra a distanze regolari. Poi ad ogni ”fringuellatore” è assegnata la gabbia del fringuello di un altro di cui deve segnare i punti.
Nella “Classe del combattimento”; la prima competizione, si segna per una mezz’ora su una lista tratteggiata ogni strofa completa cantata dal fringuello dopo il segnale d’inizio prestabilito. Vincitore risulta l’animale che ha prodotto nel tempo stabilito il maggior numero di strofe. In condizioni ottimali le strofe possono arrivare fino a 400.
Solo gli uccelli molto robusti e dal canto potente prendono parte alla competizione della “Classe forte”.
In questa categoria le gabbie vengono progressivamente avvicinate in modo che gli uccelli sono costretti ad ascoltarsi reciprocamente ad un volume sempre più forte, In queste condizioni gli uccelli più giovani o più inesperti si azzittiscono. Vincitore è il fringuello che nei cinque minuti previsti canta il maggior numero di strofe.
La “Gara di bellezza” rappresenta un concorso a sè stante. Viene eletto vincitore il fringuello che canta la strofa più lunga, più armonica e meglio articolata. Tre giudici di gara assegnano i loro punti per ognuna di queste tre qualità della strofa. Vincitore è il fringuello che ottiene il maggior numero di punti. Il premio però, anche qui come negli altri casi, va invece al proprietario!
Per i diversi tipi di strofe gli amanti dei fringuelli hanno trovato delle definizioni linguistiche veramente singolari.
Si riferiscono soprattutto al ghirigoro finale, che si riproduce con una combinazione di sillabe. Esistono strofe che si chiamano “Zerrweide” (salice scompigliato), altre si definiscono “Lisgroben” (fossa di Lis), “Schàtzen-Weidau” (tesoretto di Weidau), “Reiterspazier” (passeggiata del cavaliere), “Reitzier” (decorazione cavalleresca), “Tiefer Groben” (fossa profonda) o “Harz Groben” (fossa dell’Harz), “Putzebart” (barbetta) e altre ancora. Le definirioni tradizionali cambiano da luogo a luogo. I canti che non rientrano nella tradizione e che non sono eseguiti in maniera corretta, vengono sprezzatamente bollati come “Latscher” (sciatterie).
Per ottenere dei successi gli allevatori dei fringuelli hanno bisogno di una vasta conoscenza della biologia dei loro animali. Devono allevarli in voliere, crescere i piccoli col mangime adeguato e mettergli accanto al momento giusto un modello canoro, impedendo al giovane maschio di ascoltare canti di altre specie di uccelli.

Il repertorio delle strofe del fringuello

Finora ci siamo mossi dal presupposto che ogni fringuello emetta solo un tipo di strofa, ma se ascoltiamo per un certo lasso di tempo un maschio di fringuello che vive in libertà, dovremo ricrederci presto.
L’ animale canta per un certo periodo il tipo di strofa A, poi passa improvvisamente a B e infine aggiunge il tipo C.
E può di nuovo cambiare, aggiungendo un quarto tipo o ritornando al secondo o al primo tipo (Fig. 108-a,c).

Fig. 108


Esiste un tipo di strofa che esso canta più frequentemente, ma non esiste un successione predeterminata.
Sono stati riscontrati fino a 6 tipi di strofe in un singolo maschio. I “monotoni”, cioè quelli che cantano solo un tipo di strofa, in proporzione sono piuttosto rari. Di solito questa circostanza ci rende più gravoso distinguere i singoli individui, tanto più che due uccelli spesso possiedono lo stesso tipo di strofa nel loro repertorio.
Di conseguenza, in questo caso è difficile stabilire dei dialetti (Slater et al., 1984), come invece possiamo fare per gli altri uccelli canori.
Quanto più variegato è il canto degli uccelli di una regione, tanto più difficile diventa determinare delle differenze rispetto agli altri.
I singoli tipi di strofe sono molto diffusi nell’area di distribuzione del fringuello. L’ ornitologo di Bielefeld K. Conrads (1966) ha però scoperto negli Eggegebirge, una prosecuzione sudorientale della selva di Teutoburgo, un tipo di strofa locale con un inizio molto particolare, che ha definito come “dialetto di Egge”.
Un tale repertorio di tipi di strofe, in linea di massima equivalente, è stato riscontrato in numerose specie di uccelli.
Gli zigoli gialli (Emberiza citronella) di solito cantano alternandone da 2 a 3, la cinciallegra maggiore, gli scriccioli e i fringuelli fino a 6, mentre le cinciarelle arrivano addirittura fino ad 11. Specie come gli usignoli e i merli ne possiedono un numero ancora maggiore.
Ci interroghiamo sul senso di questa varietà. L’americano Hartshorne (1973) era dell’opinione che per gli uccelli canori l’eterno ripetersi della stessa strofa risultasse troppo monotono e che quindi dovessero alternarle. Solo gli uccelli, che cantavano le loro strofe ad intervalli lunghi, potevano tollerare di emettere sempre lo stesso motivo. A questa ipotesi l’inglese J. Krehs (1977) ne ha contrapposto un’ altra, che ha battezzata “ipotesi-Beau Gest”, dal titolo del famoso romanzo. In questo romanzo i difensori di una fortezza fingono di possedere un’ imponente guarnigione, appostando alle feritoie in maniera ben visibile anche i compagni morti, armati di fucile. Parallelamente, gli uccelli che possiedono svariati tipi di strofe possono simulare, a beneficio degli eventuali invasori, un numero di occupanti del territorio maggiore di quello che esiste in realtà. In psicologia questa ipotesi dovrebbe esser definita come cognitiva, poichè lavora con ipotesi, ma non con meccanismi. L’uccello invasore dovrebbe “ipotizzare”un numero di occupanti del distretto maggiore di quello effettivo.
Oggi conosciamo dall’etologia un meccanismo che ci offre una spiegazione del fenomeno. Lo definiamo come adattamento o abitudine.
Chi riceve un segnale, che si ripete spesso senza conseguenze e nella stessa forma, incomincerà ben presto a non reagirvi. Questo vale addirittura per i richiami di allarme del fringuello. Quanto più variabile è il segnale, tanto minore sarà l’abitudine. Ad ogni variazione del segnale l’attenzione dell’ascoltatore si rimette di nuovo in moto.
Nel frattempo Searcy & Marler (1981) hanno riscontrato in diverse specie di uccelli, che durante gli esperimenti la femmina reagisce maggiormente ad un intero repertorio di canti maschili, piuttosto che ad una singola strofa continuamente ripetuta.
Al tempo stesso, l’adattamento costituisce il fondamento per il riconoscimento individuale fra vicini del territorio.
Un occupante di un distretto reagisce in forma limitata al canto di un vicino che ascolta di continuo. Se invece compare un altro individuo con un nuovo motivo canoro, esso mostra a pieno il suo comportamento di difesa del territorio.
Questo modo di trattare economicamente le proprie riserve, è sicuramente vantaggioso dal punto di vista dell’energia.
Però il riconoscimento individuale può funzionare, così come è stato riscontrato, per quelle specie che cantano un solo tipo di strofa. Non si può dimostrare per il fringuello col suo repertorio di strofe (Pickstock & Krebs, 1980).
Secondo questa ipotesi, la vastità del repertorio è una faccenda che riguarda solo emittente e ricevente della stessa specie. Però non siamo ancora in grado di spiegarci come mai tra le diverse specie esistano delle differenze così marcate nella dimensione dei repertori. Allo stesso modo, non è chiaro neanche perchè tutti i maschi della stessa specie non abbiano la stessa varietà di repertorio. Forse perchè un vasto repertorio causa delle “spese” così elevate che non tutti i maschi possono permettersi? Un vasto repertorio annuncia forse delle prestazioni particolari? Nel caso dei verzellini delle Canarie (Serinus canaria), i maschi più anziani ed esperti possiedono di solito un repertorio più vasto, che ampliano di anno in anno, anche se poi col tempo dimenticano qualche elemento (Gùttinger, 1980).
Di fatto in alcune specie di uccelli le femmine sembrano usare la vastità del repertorio come criterio per la scelta del partner. Quando in primavera i forapaglie (Acrocephalus schoenusbaenus) fanno ritorno nelle zone di riproduzione, i maschi competono per le femmine, che scelgono il loro futuro partner tra i “canterini”, senza preoccuparsi troppo delle caratteristiche del territorio. Secondo i risultati ottenuti da Catchpole (1980), i maschi con il repertorio più ricco sono i primi ad essere scelti e quindi i primi ad accoppiarsi. Probabilmente è proprio il canto ad offrirgli le maggiori possibilità di riproduzione. Quando la concorrenza per la femmina è ancora più elevata — nelle specie poligame — la selezione sessuale, che spinge le femmine dovrebbe esercitare un influsso ancora maggiore.
Catchpole lo ha dimostrato possibile nel confronto tra diverse specie di usignoli.

Il canto attrae la femmina

Mentre sulla base del suo comportamento difensivo siamo in grado di valutare bene l’effetto che il canto esercita sui maschi, sappiamo molto meno dell’effetto che esercita sulle femmine. Su questo tema Erikson & Wallin (1986) hanno condotto un esperimento in campo aperto — questa volta però su balie nere (Ficedula hvpoleuca) e balie dal collare (Ficedula alhicollis). In primavera hanno sistemato dei maschi imbalsamati vicino a dei nidi vuoti. Quando una femmina volava in uno di questi nidi, veniva catturata lì dentro per un po’ di tempo. In una parte dei nidi veniva azionato un canto registrato, mentre negli altri no. Delle 10 femmine, che si erano fatte catturare, 9 avevano scelto un nido col canto registrato, una invece no. Nel caso dei pigliamosche dunque, il canto svolge essenzialmente la funzione di attrarre le femmine al nido. Questo è dimostrato anche dal fatto che il canto cessa non appena il maschio trova una partner. Invece nel fringuello e in molte altre specie di uccelli, la funzione territoriale si trova sicuramente più in primo piano.

L’interruzione delle strofe

I fringuelli spesso cantano le loro strofe in modo incompleto, vale a dire che le interrompono prima della fine.
Può essere che essi tralascino solo l’elemento finale “kit” (chit), ma possono interrompersi anche nel mezzo del ghirigoro o sopprimerlo interamente. L’interruzione può avvenire anche prima, nel mezzo di una frase o tra le frasi (Fig. 108-b).
Non esiste un punto preferito. Però quasi in tutti i casi, gli elementi che precedono l’interruzione sono formulati completamente, vale a dire che l’interruzione avviene sempre tra gli elementi. Le più brevi strofe interrotte sono costituite solo da un elemento, il primo elemento della prima frase.
E interessante notare che ad una frase interrotta fa seguito una pausa abbreviata. Ad una strofa estrema, che è quella costituita da un solo elemento, segue direttamente dopo un minuscolo rinvio la strofa successiva. Ne consegue che l’offerta di elementi che il cantante produce nell’unità di tempo rimane pressochè costante, indipendentemente dalla lunghezza delle strofe cantate in quel momento.
J. Heymann (1983) ha dimostrato che nei fringuelli l’interruzione della strofa può essere causata anche da impulsi non specifici.
Se un osservatore umano si avvicina ad un maschio che sta cantando, l’uccello inizierà ad accorciare progressivamente le sue strofe. Se l’osservatore si trattiene per un certo periodo e il fringuello si abitua alla sua presenza, le strofe diventeranno mano a mano sempre più complete. Lo stesso accade se nel bel mezzo di un territorio si fa ascoltare al suo occupante una strofa di fringuello registrata. In linea di massima l’occupante canterà solo un’ altra strofa completa, a cui faranno seguito altre interrotte, che attraverso vari stadi diventeranno via via sempre più complete (Fig. 109).
Se un fringuello che sta cantando incontra un suo vicino nei pressi del confine del suo territorio, le frasi si abbrevieranno progressivamente prima di giungere all’interruzione completa del canto, che precede la lotta per il confine. Poi l’occupante ricomincerà a cantare, dapprima con strofe interrotte che diventeranno via via più complete. Nel caso del canto pieno del fringuello, ci troviamo di fronte ad un sistema di reazione molto sensibile agli impulsi di disturbo, sia che provengano da individui della stessa specie che da altre specie.
Come reagiscono i fringuelli alle strofe incomplete?
Durante un esperimento di laboratorio, abbiamo scoperto che sia la reazione canora che gli altri parametri di reazione, sembrano essere addirittura più forti nei confronti delle strofe incomplete che di quelle complete. Le strofe costituite solo da una frase scatenano la massima reazione (Kutscher, fonte medita). Questo risultato non ha potuto trovare conferma per quel che riguarda gli animali liberi (Stein, 1985).
Il ghirigoro, la cui forma si differenzia completamente dalla parte della frase, sembra attenuare l’effetto di demarcazione territoriale delle strofe.

Fig 109


Variazioni stagionali del canto

Quando i maschi di fringuello iniziano a cantare all’inizio della primavera, il loro canto contiene relativamente molte strofe interrotte (Fig. 110). Poi la percentuale di queste strofe interrotte inizia lentamente a diminuire e a giugno raggiunge la sua quota minima, per poi ricominciare ad aumentare a luglio, verso l’inizio della muta, fino a raggiungere una percentuale del 40%.
È strano notare che in aprile compare di nuovo un periodo di alta percentuale di interruzioni, che però non è contemporaneo in tutti i cantori. Abbiamo osservato che questo temporaneo aumento coincide con il comportamento riproduttivo delle singole coppie. Questo periodo sembra creare particolari condizioni interne ed esteme che disturbano la produzione del canto completo.
In linea di massima, alla base dell’andamento stagionale dell’interruzione delle strofe si trova una componente ormonale. Del resto come potrebbe un comportamento così complesso come il canto, essere del tutto indipendente dalle oscillazioni interne? Però non esistono ancora esperimenti ormonali che confermino questo tentativo di interpretazione.
Forse un giorno ci sarà possibile dedurre dalle frequenze delle interruzioni del canto le condizioni interne di uccelli, isolati da qualsiasi disturbo.
La strofa del fringuello invece rimane costante per tutto il periodo riproduttivo.
Con un’ analisi molto precisa si può stabilire che le strofe nel corso della stagione si allungano in misura limitata (Fig. 111). Ciò si basa sul fatto che nelle frasi, soprattutto nella prima, vengono inseriti da 1 a 3 elementi. Abbiamo anche osservato, nel corso della stagione, che i maschi di fringuello variano il loro repertorio di strofe aggiungendone o perdendone alcuni tipi. Noi sospettiamo che questo avvenga soprattutto negli animali minori di un anno, mentre i cantori più esperti mantengono il loro repertorio costante entro certi limiti, anche da un punto di vista quantitativo.

Fig. 110


Fig. 111


L’apprendimento del canto

Quale fondatore dell’ornitologia dell’era moderna, von Pernau (1702) sapeva già con molta precisione, che i fringuelli in gioventù “si insegnano l’un l’altro i canti“. Strano ma anche molto da apprezzare in questo uccello è che “se uno lo prende da giovane e in inverno da febbraio fino ad aprile lo appende vicino ad un usignolo esso oltre al suo canto innato che non dimentica per nulla dallo stesso apprende diversi canti”. Von Pernau conosceva anche i limiti dell’apprendimento: “Poi, ciò che non apprendono il primo anno dopo non lo impareranno mai più quando hanno già udito altri 30 uccelli cantare”.
Gli appassionati o gli allevatori di fringuelli sanno meglio di chiunque altro che il canto di questi uccelli non è innato.
Un giovane maschio può educare il suo canto, solo se ha l’opportunità di udire un cantore adulto della propria specie, e cioè appropriandosi esattamente del tipo di strofe del suo modello. Dalle indagini di von Thorpe (1958) sappiamo che i giovani fringuelli hanno due fasi sensibili di apprendimento: la prima nell’estate del loro primo anno di vita, la seconda nella primavera successiva. Probabilmente basta già la prima fase per riempire la memoria nel cervello di questo volatile.
Poi nella primavera successiva il suo canto si educherà in maniera pienamente valida. Di solito però anche nella primavera del suo secondo anno di vita, mentre già canta, può aggiungere altri tipi di strofe al suo repertorio. Può accadere però anche il contrario e cioè che l’animale “dimentichi” dei tipi di strofe.
Ma cosa accade quando un fringuello cresce senza alcun modello? Nel caso estremo rimane un Kaspar-Hauser (L’autore fa riferimento a un trovatello realmente esistito che cresciuto lontano da ogni contatto umano una volta ricondotto in società non era in grado di comunicare con gli altri). Gli esperimenti dimostrano che i fringuelli allevati artificialmente e tenuti lontani da altri fringuelli sviluppano un canto che appare molto semplificato rispetto a quello tipico della specie.
Il canto presenta quasi la lunghezza delle strofe naturali ed è all’incirca simile anche nel numero degli elementi, quello che però gli manca è la differenziazione degli elementi, l’articolazione della frase e del ghirigoro (Fig. 112). Ciò nonostante non è un canto “innato”, perchè il fringuello ha già investito molto in improvvisazione ed esercizio.

I cantori misti

Allo stato selvatico si può trovare occasionalmente un fringuello che canta una strofa tipica della specie, che però è costituita da elementi presi a prestito da altre specie di uccelli. Definiamo tali individui come cantori misti.
Anche questo caso dimostra come un’ intelaiatura di strofe innate, sulla base di una data predisposizione all’apprendimento, può essere riempita con elementi estranei (Fig. 113). E interessante notare che gli elementi o le frasi vengono presi a prestito solo da quelle specie di uccelli che, come i fringuelli, compongono il loro canto di frasi.
Il canto misto è una conseguenza dell’apprendimento imitativo.

Subsong

In un soleggiato mattino di febbraio un maschio di fringuello siede sotto i raggi già tiepidi del sole di mezzogiorno, gonfia il suo piumaggio e canta sommessamente tra sè e sè. Questa è la prima forma di canto, che emette nel corso dell’anno.
Il canto è continuo, vale a dire che non è articolato in strofe, e presenta una struttura variegata. Ad un’osservazione più attenta, possiamo percepire che nel canto sono inseriti elementi e motivi tipici di altre specie di uccelli (Thorpe, 1955). L’uccello imita o “canzona”. Di quanto in quanto un violento strepitio interrompe questo canto pettegolo (Fig. 114-i). Definiamo questo canto sommesso, continuo e ricco di variazioni con la parola inglese “subsong”. Lo ritroviamo anche alla fine della stagione e nei periodi in cui è inibito il canto pieno delle strofe, per esempio quando il maschio corteggia la femmina prima dell’accoppiamento,

Fig. 112


I richiami del fringuello

I canti costituiscono per lo più un complesso assemblaggio di espressioni sonore, che hanno diverse funzioni, tra cui quelle di delimitazione del territorio, attrazione della femmina e sincronizzazione dei partners della coppia. Di norma si presentano spontaneamente, cioè senza la comparsa di una situazione scatenante specifica. I richiami invece sono costituiti per lo più da uno, o da pochi elementi, e sono provocati da certe situazioni più o meno specifiche.
Nella maggioranza dei casi non sono collegati al periodo riproduttivo (v. Thielke, 1970).
Il richiamo più tipico del fringuello, che caratterizza sia i maschi che le femmine, è quello che gli dà anche il nome un acuto e penetrante “pink” (Fig. 114-a). Compare in situazioni di disturbo, per esempio quando un uomo o un altro nemico si avvicina al nido del volatile. Ad un “pink- pink” bisillabo corrisponde un’ inquietudine moderata. Se il richiamo viene ripetuto 3 volte, significa che l’inquietudine sta aumentando. Al massimo grado dell’inquietudine si presenta un “pink” ripetuto 4 o 5 volte o addirittura continuato. Il “pink” isolato, emesso quasi in modo sommesso, non è più così specifico.
In inverno lo si ode sovente provenire dagli stormi di fringuelli nel bosco e viene definito richiamo sociale.
Spesso la cinciallegra maggiore (Parus niajor) imita questo richiamo del fringuello in modo così fedele da creare confusione, ma la maggior parte delle volte si tradisce, poichè prima emette uno “zi” alto ed acuto.
Spesso, mentre il fringuello si alza in volo o percorre lunghe distanze, si può sentire un debole “djùb” (diueb) isolato
(Fig. 113-b), che noi per la specificità della situazione definiamo richiamo di volo.
Un richiamo strettamente specifico risuona quando nel cielo compare un uccello rapace, per esempio uno sparviero (Accipiter nisus). Allora, sia i maschi che le femmine, emettono un richiamo sottile, molto acuto e prolungato, che graficamente si può trascrivere come “zieh” (ziii) o “siiht’ (siiit) (Fig. 114-e).

Fig. 113


Gli altri fringuelli, e addirittura gli uccelli di altre specie, reagiscono cercando riparo o immobilizzandosi. Anche negli altri uccelli canori, per esempio il merlo, la nizzola marina, lo zigolo giallo, la cinciallegra maggiore e la cinciarella, si presentano richiami del tutto simili, che avvertono della presenza di un nemico in volo.
Per le loro caratteristiche acustiche questi richiami sono difficilmente localizzabili dall’uomo, a causa della bassa banda di frequenza e del loro impercettibile accendersi e spegnersi.
Per lungo tempo si è pensato che per i rapaci valesse lo stesso discorso fatto per l’uomo: essi non capivano da dove provenisse il richiamo e perciò non vi reagivano. In seguito Klump & Shalter (1984) hanno dimostrato che gli sparvieri e anche le civette possono localizzare benissimo i richiami, ma nonostante questo non reagiscono. La spiegazione risiede nella soglia uditiva (Klump et al., 1986): mentre la cinciallegra maggiore ad una frequenza di 8 kHz sente ancora bene, per lo sparviero la soglia uditiva è gia molto alta. Un richiamo di allarme della cinciallegra maggiore o del fringuello che segnala la comparsa di un nemico in volo, può essere percepito dai loro simili fino ad una distanza di 40 m, lo sparviero invece può sentirlo solo fino a 10 m di distanza. In questo modo l’uccello che dà l’allarme per primo può avvertire i suoi simili della comparsa del predatore, senza attirarne gli attacchi su di sè.

Fig. 114


Prima dell’accoppiamento la femmina di fringuello emette un “sit” acuto e sottile (Fig. 114-d). Più forte si percepisce il breve richiamo acuto del maschio (“zink”), emesso in preda ad una forte inquietudine territoriale (Fig. 114-e).
Potrebbe derivare dal “pink”, tanto più che può anche essere ripetuto. In primavera a volte si può sentire un “tschr” (dscir), spesso ripetuto, emesso dai maschi di fringuello pronti per l’accoppiamento. I piccoli che stanno imparando a volare producono un richiamo del tutto simile dopo aver abbandonato il nido, comunicando in questo modo la loro posizione agli adulti (Fig. i 14-f,g).

Suoni strumentali

Sia mentre afferrano al volo un insetto, che mentre si difendono da un pericolo immediato, si può sentire che i fringuelli producono dei rumori sbattendo il becco, ripetutamente nel caso di un attacco (Fig. 1 14-h).

Il “richiamo della pioggia”: un tema con variazioni geografiche

Quando abbandoniamo il bosco abbiamo ancora nell’orecchio il richiamo della pioggia dei fringuelli. “Wrtit. . .wrtit. . .wriit” (vrut. . .vrut. . .vrut), risuona circa così, ad intervalli di un secondo. L’uccello è appollaiato a mezza altezza su un faggio. Ad ogni richiamo spalanca il becco e arruffa le piume del capo. Alza un po’ il capo, così che sembra star seduto più eretto. Questa è la sua posizione quando canta una strofa (Fig. 104). Queste espressioni sonore del fringuello sono state chiamate richiami della pioggia, forse proprio perchè l’animale le emette nel periodo in cui le altre specie di uccelli tacciono in presenza di un clima afoso o piovoso. Però il fringuello non assurge al ruolo di profeta meteorologico, perchè il suo richiamo non è limitato solo a queste condizioni atmosferiche. Entriamo in un altro appezzamento boschivo, da dove si può ancora scorgere quello che abbiamo appena lasciato. Come in tutti gli altri boschi, anche qui vivono i fringuelli. Però questi non fanno “wrtit” (vrut) (Rg. 115-a,b), ma emettono un “htiid” (uid) chiaro e acutissimo (Fig. l15-d). Solo il ritmo e la durata del richiamo sono pressochè uguali. Se le sottopopolazioni di una specie di uccelli si distinguono per i canti o i richiami, definiamo queste manifestazioni (come avviene per la lingua degli esseri umani) dialetto (v. oltre), nel nostro caso dialetto di richiamo. I richiami della pioggia dei fringuelli costituiscono già da molto tempo l’esempio più conosciuto di dialetto di richiamo degli uccelli (Sick, 1939).
Nelle vicinanze di Osnabrùck, una città della Bassa Sassonia, non esistono solo i due esempi di dialetti citati prima. E molto diffuso anche un debole e nasale “dschàd” (dsced) (Fig. 115-c). Pochi chilometri più a sud, nella Selva di Teutoburgo, si può ascoltare in una zona apparentemente molto ristretta un breve “dlùt” (dlut) (Fig. 115-e). Nella zona circostante esistono a livello locale anche dei richiami della pioggia a due sillabe. In Svizzera M. Schwarz (comunicazione scritta) ne ha riscontrate perfino delle forme trisillabe.
Grecia, Delfi: stupito, più di un visitatore ha già cercato con gli occhi l’uccello che nascosto nel fogliame degli alberi continua ad emettere un monotono “hiid”.
Anche questo è un dialetto del richiamo della pioggia del fringuello (Rg. 115-I) diffuso in tutta la Grecia e a Cipro, ma stranamente anche a Bornholm, un’isola del Mar Baltico. A Creta invece si può ascoltare un “fili” (fiu) che lentamente si spegne (Fig. ll5-g). Mentre i dialetti dell’Europa sudorientale sembrano essere diffusi su territori relativamente estesi, nell’Europa centrale spicca regionalmente un mosaico di piccoli territori di diffusione. Per citare solo alcuni esempi, il “wriit’ (vrut), con varianti leggermente diverse, si presenta nella Bassa Sassonia meridionale nell’Assia settentrionale, ma anche nella Selva Ercinia, nei pressi di Kaiserlautern, nell’Eifel, nella Selva di Turingia presso Jena e nella Polonia orientale.

Fig. 115


Una base per la formazione dei dialetti del richiamo della pioggia è senza dubbio la tradizione. I fringuelli non possiedono questi canti in maniera innata, ma devono apprenderli da un modello. Il primo a dimostrarlo è stato Nottebohm (1972), che sul tema ha condotto esperimenti precisi. Un maschio di fringuello da me allevato non aveva a disposizione nessun modello della propria specie, ma sentiva sempre i richiami di distanza dei pappagallini ondulati. Così se ne è appropriato, variandone leggermente la forma e li ha usati come proprio richiamo della pioggia. Anche i diversi dialetti del richiamo della pioggia che abbiamo reperito in campo aperto, mostrano almeno in parte delle sorprendenti corrispondenze coi richiami di altre specie di uccelli. L’ “hiiid” (huiid) per esempio ricorda molto il richiamo di inquietudine del lui piccolo (Phylloscopus collybita). Conrads (1982) ha scoperto che l”hiid” del fringuello di Bornholm corrisponde, per l’altezza del tono e la durata ai richiami di allarme dell’usignolo maggiore (Luscinia luscinia), uccello molto diffuso su quell’isola. Il “dlut” (dlut) della selva di Teutoburgo ricorda il richiamo del crociere. L’impressione che si evince è stessa che già avevamo avuto per quel che riguarda il canto. I fringuelli non adottano particolari protezioni contro l’influenza di modelli di altre specie. Quesi modelli devono solo riflettere certe caratteristiche acustiche, ma il loro aspetto non viene preso per niente in considerazione. Se emettono dei richiami monosillabi e relativamente facili, costituiscono già dei possibili “fornitori” per il richiamo della pioggia del fringuello.
Però finora non siamo ancora riusciti a trovare un modello di un’ altra specie nè per il diffusissimo “wrùt” (vrut) nè per il “dschàd” (dsced) (Detert & Bergmann,
1984).
Sembra che i fringuelli siano in grado di combinare dialetti diversi. Nelle vicinanze di Osnabruck abbiamo trovato una zona in cui una gran parte degli uccelli usa i due dialetti “dschàd” (dsced) e “huid” (huiid) alternandoli. Abbiamo definito questi individui come richiamatori misti. I due dialetti possono perfino combinarsi in un unico richiamo, che inizia con un breve pezzo “hùi” (huii) e termina con un pezzo “dschad” (dsced). Il richiamo che ne risulta è uno strano “brid” (Fig. 115-h,i).
Un ulteriore sviluppo è sopraggiunto nella zona dei richiamatori misti, quando un uccello ha emesso contemporaneamente i due richiami. Se in questo modo si sovrappongono l”hùid” (huiid) e il “dschàd” (dsced), il richiamo che ne risulta sarà “dschàid” (dscheiid) (Fig. 116). In considerazione di una tale plasticità c’è da aspettarsi che nelle popolazioni avvenga un mutamento continuo dei dialetti. E possibile inoltre che anche le sottopopolazioni ritornino ai modelli originari o a quelli generali del loro distretto, dopo aver rielaborato un influsso estraneo alla specie.

Fig. 116


Il richiamo della pioggia: richiamo o canto?

Nonostante tutto, siamo ancora ben lontani dal poter comprendere a fondo il significato di questo sistema di dialetti e la funzione del richiamo della pioggia. Quest’ultimo ha molte cose in comune col canto: entrambi devono essere appresi, entrambi costituiscono dei dialetti e vengono emessi più spontaneamente che non in riferimento a situazioni precise; sono propri solo del maschio e sono perciò legati al periodo riproduttivo, vale a dire alla fase dell’anno in cui si attiva il canto. Anche il confronto con la specie affine del fringuello montano (Fringilla Montifringilla) orienta in questa direzione. In questa specie il canto pieno è costituito solo da singoli elementi lunghi e gracidanti, che ricordano il richiamo della pioggia dei fringuelli. Nel caso di questo richiamo ci troviamo di fronte ad una parte del repertorio sonoro di una specie che rende incerta la distinzione delle espressioni sonore in canti e richiami. Del resto accade spesso che gli esseri viventi non si orientino secondo lo schematismo delle nostre classificazioni.

Che cos’è un dialetto?

Secondo Wickler (1986), riferendosi agli animali si può parlare di dialetti solo se è dimostrabile che le diverse forme si trasmettono per tradizione, dunque attraverso l’apprendimento da un modello. Per il confronto con i dialetti del linguaggio umano, questa premessa è teoricamente importante, ma è poco pratica.
In primo luogo, alla base delle espressioni sonore tramandate, come il canto del fringuello e il richiamo della pioggia, c’è sempre una parte innata, cosicchè il concetto di dialetto definito in questo modo (nel senso stretto del termine) riguarda solo la sovrastruttura tramandata e non il fenomeno nel suo complesso. In secondo luogo, nei più svariati canti e richiami delle specie di uccelli presenti in natura, si trova un gran numero di varianti geografiche che riguardano territori grandi e piccoli; sono pochi i casi in cui si sa, da esperimenti precedenti, se sono innati o tramandati. Inoltre condurre tali esperimenti costituisce un’ impresa lunga
e complicata. Bisogna allevare artificialmente i piccoli appena nati, sottrarli ad ogni contatto esterno o sottoponendoli ad uno specifico programma di apprendimento. Per far ciò è necessario anche uno speciale permesso per motivi riguardanti la legge della protezione degli animali.
Abbiamo bisogno di un concetto che si possa usare subito alla scoperta del fenomeno, e non dopo anni o addirittura decenni, una volta condotto il necessario esperimento. Perciò in questa sede useremo il concetto di dialetto riferendoci a tutti i fenomeni di variazione spaziale delle espressioni sonore. Non appena entrati in possesso dell’informazione necessaria, potremo distinguere i dialetti tramandati da quelli non tramandati (ereditari), a seconda del risultato dell’esperimento.
I cantori e i richiamatori misti non si considerano portatori di dialetto se non compaiono almeno in due esemplari. Il dialetto richiede almeno due individui che naturalmente dovrebbero anche essere contemporanei. Il comportamento contenuto nel discorso deve servire alla comunicazione. Secondo Wickler (1986), per definire un dialetto non sono necessarie delle chiare divisioni o delle distanze minime tra i territori del dialetto, le funzioni dei dialetti, i periodi della loro esistenza e le differenze genetiche tra i suoi portatori. Uno stesso individuo, come abbiamo già visto nel caso del richiamo della pioggia del fringuello, può possedere diversi dialetti.
Ma che cosa significano i dialetti nelle espressioni sonore degli uccelli e in ultima analisi anche dell’uomo? Probabilmente non svolgono nessuna funzione biologica, ma dominano gli organismi come unità di informazioni, paragonabili ai geni. Dovrebbero allora definirsi meme nel senso espresso da Dawkins (1983) vale a dire che non aspirano a nient’altro che a riprodursi, liberi e possibilmente numerosi, a spese dei concorrenti. Possono essere utili ai loro portatori, ma in altri casi possono costituire anche degli scomodi parassiti (v. Wickler, 1986).Questo vale per i dialetti tramandati. Nel caso di quelli innati potrebbe trattarsi di varianti, sorte casualmente a causa di mutazioni e in seguito rimaste, ma potrebbero anche essere state selezionate nel senso di un adattamento. Per quel che riguarda i dialetti del richiamo della pioggia con una piccola zona di diffusione, molti fattori stanno ad indicare che essi rappresentano una conseguenza casuale e priva di funzione dell’apprendimento per tradizione.
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

L'apprendimento: variazione del comportamento determinato dall' esperienza

Ogni uccello dispone già in maniera innata di molte abilità e conoscenze. Un pulcino riesce, senza tante esperienze alle spalle, a rompere dall’interno l’uovo in cui è stato covato e a liberarsi dal guscio con dei movimenti ben precisi. Dopo di che ben presto sarà in grado di muoversi, esprimere alcuni richiami, pulirsi, lisciarsi le penne col becco e nutrirsi.
Però questa struttura comportamentale innata non basta a destreggiarsi in tutte le situazioni della vita. In molti casi a ciò deve aggiungersi l’apprendimento. L’apprendimento è una variazione del comportamento determinata dall’esperienza.
Il comportamento innato viene modificato o completato attraverso dei processi di apprendimento. Per questo sono necessari meccanismi di acquisizione, immagazzinamento, mantenimento e richiamo delle informazioni nel sistema nervoso centrale (Buchholtz, 1982). Può essere necessario un diverso grado di apprendimento per perfezionare un comportamento. Distinguiamo tra i processi di apprendimento obbligatori, indispensabili per la sopravvivenza dell’animale, e quelli facoltativi, di cui l’animale può anche fare a meno. Gli scienziati distinguono molte forme di apprendimento.
Non è chiaro fino a che punto alla base di queste forme ci siano anche dei diversi meccanismi nell’organismo.
Tuttavia qui di seguito vogliamo provare a tracciare un quadro generale delle più importanti forme di apprendimento, sulla base di esempi presi dal mondo degli uccelli. Informazioni di carattere generale sull’apprendimento degli animali si trovano nei testi di Buchholtz (1973, 1982).

Condizionamento classico (formazione di reazioni determinate)

Un giovane urogallo (Tetrao urogallus) non sa riconoscere i suoi nemici. Non reagisce neanche se vede passare un astore sopra di sé. Ma se risuona il richiamo di allarme della madre, un prolungato “urrr” profondo e sommesso, il piccolo resta subito immobile o si butta nel riparo più vicino, indipendentemente dal fatto che il nemico sia o meno in vista. Col tempo i piccoli imparano a collegare il segnale di allarme della madre a determinati stimoli esterni, come per esempio la sagoma di un rapace in volo. Questo apprendimento può essere molto rapido, come avviene nel caso dell’imprinting. Ad ogni modo sulle prime anche gli stimoli neutrali abbinati ad uno stimolo scatenante, assumono un effetto scatenante. Da un punto di vista puramente formale si può intendere questo decorso come un condizionamento classico. Tali condizionamenti hanno luogo ovunque gli avvenimenti rilevanti vengano sistematicamente annunciati da segnali premonitori.
Gli uccelli in gabbia corrono verso la scodella quando non c’è ancora il mangime, non appena il loro custode apre la porta per mettercelo.

Adattamento (abitudine)

Un apprendimento “negativo”

Per un uccello canoro di un distretto sarebbe un compito veramente troppo oneroso rispondere a pieno potenziale a tutti i canti dei suoi simili che si stanno insediando nei pressi del suo territorio. Per farlo dovrebbe volare di continuo fino al limite del suo distretto, cercare il rivale, cantare in modo particolarmente intenso e scacciarlo con un attacco diretto o mostrando un comportamento di delimitazione territoriale. Molti uccelli mostrano questa reazione intensa solo quando sentono un loro simile emettere un canto territoriale che non conoscono. Ai canti dei vicini conosciuti reagiscono in misura limitata. Definiamo col termine d adattamento o abitudine il calo progressivo della reazione agli impulsi specifici che si ripetono di frequente e che non hanno effetti, nè negativi nè positivi.
H. Zucchi (1979) ha dimostrato che l’abituazione subentra anche nei confronti dei richiami di allarme di un proprio simile se questi vengono ripetuti in modo. abbastanza monotono.
Se un maschio di fringuello in cattività sente il richiamo di allarme plurisillabo tipico della specie, “pink-pink-pink” , può mostrare le seguenti reazioni, in successione o in combinazioni che variano da individuo a individuo (Fleuster, 1973; Zucchi, 1979): il proprio allarme “pink”, i richiami della pioggia, l’ammutolimento (immobilizzazione), l’erezione delle penne del capo, la copertura dei segnali delle ali, i movimenti della coda. Altre reazioni si presentano solo in animali allo stato libero.
Nell’esempio seguente abbiamo prestato attenzione solo alla durata dell’ immobilità che segue l’impulso, passato sul registratore due volte al giorno.
La Fig. 117 mostra che la reazione, dapprima normale, ben presto si riduce. Dopo aver ascoltato l’impulso 5 volte, vale a dire dopo 2 giorni e mezzo, la reazione scende al 20% del valore iniziale. Essa cala ulteriormente e dopo 6 giorni, dunque dopo 12 prove, l’uccello non reagisce quasi più alla simulazione sonora registrata del richiamo d’allarme tipico della specie (Zucchi & Bergmann, 1975). Questo vale anche per le altre reazioni.

Fig. 117


Tali esperimenti funzionano altrettanto bene con gli animali allo stato libero, sebbene ci si dovrebbe aspettare che la molteplicità dei fattori di disturbo dell’ambiente circostante impedisse il regolare corso degli esperimenti. Prima di iniziare le prove con gli impulsi, bisogna abituare le coppie di fringuelli libere nel territorio, alle modalità con cui si svolgono gli esperimenti, vale a dire alla Comparsa di chi conduce l’esperimento col registratore e al suo dispositivo di registrazione (Zucchi, 1979). Mentre anche in questa occasione gli uccelli emettono nelle prime potenti richiami di allarme (Fig. 11 8-a), il loro livello di reazione si abbassa molto velocemente e dopo un certo periodo si avvicina al valore zero. Alcune Circostanze impreviste hanno poi interrotto il corso dell’abitudine: durante l’ esperimento a cui si riferisce la Fig. 118 un giorno è comparsa in volo sul territorio una poiana (1), il giorno seguente un nibbio reale (2) e infine una
gazza (3).
Però dopo che questi disturbi sono cessati, l’abitudine ha proseguito il suo corso. Se contemporaneamente si presenta l’azione di disturbo di un nemico,
l’animale si comporta come se non avesse imparato nulla. Finora abbiamo provocato abitudine solo alla disposizione sperimentale. Se ora gli esperimenti di
simulazione introducono l’allarme registrato, la reazione cresce di nuovo. E’ persino maggiore della prima reazione provocata dalla comparsa del conduttore degli esperimenti (Fig. l18-b). Anche in questo caso subentra subito l’abitudine, che però si interrompe improvvisamente durante l’undicesimo giorno della serie.
La reazione si riporta al livello iniziale e rimane alta per alcuni giorni, senza che se ne possa rintracciare la causa nella presenza di un nemico nel distretto.
Ad un’analisi più dettagliata si è scoperto che proprio nell’undicesimo giorno dell’esperimento, si erano schiuse le uova nel nido della coppia.
Questo fatto sembra provocare un immediato aumento dello stato di allarme e un blocco dell’informazione sull’abitudine che era stata immagazzinata fino ad allora.
Appena alcuni giorni dopo l’importante avvenimento biologico, la reazione cala di nuovo a picco. Lo stesso fenomeno era stato riscontrato nelle altre coppie di fringuelli analizzate

Fig. 118


Specificità dell’impulso all’adattamento

Per tutti i giorni dell’esperimento è stata fatta ascoltare ai fringuelli sempre e solo la stessa simulazione sonora, che consiste in 20 serie di richiami trisillabi pink”, ripetuti ad intervalli di 2.5 secondi (cfr. Fig. 114-a). La simulazione ha una durata di 1 minuto e 15 secondi.
A questo punto vogliamo scoprire se i fringuelli si abituano solo alla simulazione specifica o se mettono a punto la loro reazione a qualsiasi forma di allarme “pink”. Ci si può esprimere sulla specificità del processo di adattamento, solo se agli animali che sono già “abituati” si fanno ascoltare simulazioni sempre diverse. Zucchi (1979) ha condotto su questo tema una sperimentazione dettagliata. Alcuni risultati sono riportati nella Fig. 118-b (numeri romani).

Fig. 119


• Test di specificità I: uguale alla simulazione a cui è già abituato l’animale, ma prodotta da un altro individuo, debole differenza sonora: nessuna reazione.
• Test di specificità Il: uguale alla simulazione a cui è già abituato l’animale, ma emessa a volume dimezzato: nessuna reazione.
• Test di specificità III: stessa simulazione ma l’intervallo tra i richiami trisillabi raddoppia da 2,5 a 5 secondi: nessuna reazione.
• Test di specificità IV: stessa simulazione ma con richiami bisillabi. In questo caso il fringuello mostra una reazione. Vale a dire che non è abituato.
• Test di specificità V: stessa simulazione ma a volume raddoppiato. La reazione è palese.

Da questi risultati comprendiamo che l’adattamento può essere considerato come un processo di apprendimento legato ad uno specifico impulso, solo se il segnale che viene offerto si ripete in modo abbastanza specifico. Naturalmente, un uccello che vive in libertà non sente tali richiami monotoni e ripetuti, ma altri molto più variabili. Questa circostanza è stata considerata da Zucchi (1979) negli esperimenti di laboratorio (Fig. 119).
Gli uccelli sottoposti a parecchie simulazioni diverse ed alternate si abituavano più lentamente. Quando le simulazioni erano offerte loro in una successione imprevedibile (Fig. 119-c), il processo di adattamento era più ritardato di quando la sequenza si ripeteva sempre uguale (Fig. 119-a,b). Se nel corso di questi esperimenti di adattamento si offrivano per lungo tempo una serie di simulazioni diverse, alla fine non esisteva più alcuna specificità. Alla fine, l’animale non reagiva più neanche a simulazioni mai ascoltate prima (generalizzazione o formazione dell’invarianza).
Si può presumere che in condizioni naturali l’adattamento ai richiami d’allarme della propria specie sia limitato o evitato del tutto attraverso variazioni del segnale
(sillabazione differente, volume, imprevedibilità della sequenza, ecc.). In questo caso anche gli stimoli di disturbo esterni hanno un effetto inibitorio ma probabilmente solo sulla comunicazione dell’informazione, e non direttamente sull’informazione immagazzinata o sulla prosecuzione del processo di apprendimento.
L’adattamento è un processo universale di apprendimento di natura molto semplice. Esso contribuisce a far sì che l’organismo impari a distinguere tra gli stimoli che percepisce, quelli importanti da quelli che non lo sono. Anche gli uomini si abituano agli impulsi monotoni che non hanno alcuna particolare conseguenza (Glaser, 1968). Non bisogna però confondere l’adattamento nel senso specifico di cui abbiamo parlato finora, con la costituzione di abitudini. Le abitudini sono conseguenze (spesso caparbie) di positivi processi di apprendimento che avvengono sulla base dei risultati ottenuti.
Se sono costantemente ripetuti in un’ unica forma e senza alcuna conseguenza biologica, gli stessi segnali importanti della comunicazione tra individui della stessa specie, vengono classificati dal ricevente come irrilevanti e perciò soggiacciono all’adattamento. Gli organismi animali (forse anche le piante?) evitano in questo modo di reagire agli impulsi superflui. La trasmissione naturale dei segnali tiene conto di questo principio, variando appunto il segnale o conservandolo per le occasioni opportune (cfr. Hartshorne, 1973).

L’apprendimento che dipende dai risultati ottenuti

Finora ci siamo occupati di processi di apprendimento semplici e lineari. Un impulso che si ripete sempre senza conseguenze, provoca l’indebolimento di una reazione prima presente: l’adattamento. Se ripetuto spesso, un impulso di per sè senza conseguenze, accoppiato con un impulso scatenante, guadagna esso stesso un effetto scatenante: condizionamento classico.
Però, tutte le volte che entra in gioco un premio o una punizione, abbiamo a che fare con un apprendimento che dipende dai risultati ottenuti. In questo caso si usa anche il concetto di “condizionamento operante” o “condizionamento strumentale”.
Ogni volta che si predispone una mangiatoia per il cibo invernale avviene un processo di condizionamento in grande stile. All’inizio, il singolo uccello trova solo per caso la nuova mangiatoia (fase del tentativo o dell’errore) ed il suo arrivo è premiato da una ricompensa di cibo. In futuro adotterà sempre più spesso questo comportamento. Non solo un’esperienza positiva, ma anche una negativa può avere un suo effetto sull’apprendimento: se un uccello in cattività, a cui per la prima volta è concesso di volare libero per la stanza, si dirige precipitosamente verso la finestra chiusa, viene dolorosamente punito per questo suo comportamento, che in futuro diventerà sempre più raro fino a sparire completamente. Premio e punizione costituiscono degli amplificatori positivi o negativi di un comportamento precedente. Poiché la reazione successiva allo stimolo (cibo, dolore) si ripercuote sul comportamento, ci troviamo di fronte ad un processo di apprendimento ciclico, più complesso dell’adattamento o del condizionamento classico. A questo processo dobbiamo aggiungere la componente dell’apprendimento per imitazione, quando un uccello prima osserva come gli altri uccelli si riforniscono di cibo alla mangiatoia e solo in seguito ci vola anch’esso.
Però anche in questo caso restiamo nell’ambito di un apprendimento che dipende dai risultati, poiché anche in questo caso l’animale ottiene un premio.

L’apprendimento imitativo

Se si pensa al canto degli uccelli, spesso la prima cosa che viene in mente è l’imitazione. Di fatto negli uccelli per questo tipo di apprendimento non esistono esempi che siano stati studiati meglio di quelli che riguardano l’apprendimento acustico per imitazione.
Col termine imitazione, si definisce la trasformazione volontaria in un proprio movimento di un comportamento osservato in un altro essere vivente. Gli uccelli canori e gli psittaceidi sono particolarmente noti per la loro capacità di imitazione vocale di modelli della propria e di altre specie. Pressoché tutti gli uccelli canori devono apprendere il loro canto, almeno alcune sue parti determinate, da modelli della propria specie. Alcuni devono apprendere in questo modo addirittura i richiami. L’espressione sonora finita si combina sia di componenti innate che acquisite.
I canti e i richiami si tramandano quindi di generazione in generazione, proprio come la lingua, le norme e i modi di comportamento degli esseri umani. Definiamo come dialetti di una specie i canti e i richiami che presentano differenze a livello locale. Anch’essi generalmente si tramandano di generazione in generazione.
All’apprendimento di modelli tipici della specie si contrappone l’imitazione di modelli estranei. Molti uccelli inseriscono nel loro repertorio motivi di altre specie.
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

di suguito vi trascrivo una delle piu' belle pagine sul Fringuello e la sua uccellagione con le panie, scritta da Amedeo Giacomini nel suo libro "Andar per uccelli"


Il fringuello è per certo il re di tutti i richiami. Pare dipinto a pastello da una mano crepuscolare con volontà di trar fuori la grazia un po' scabra dei colori d'autunno. È uccello scontroso, ma non solitario, dei più orgogliosi e lunatici. Vive stanziale in tutta la Bassa, ma i più celebrati scendono a noi, sul far dell' ottobre, fin dai lontani Carpazi, e invadono siepi e' boschine, cugini germani della parussa, che loro somiglia anche nel canto. Benché siano, per le piume, tutti uguali, se ne distinguono diciannove specie. Prendono nome dal verso che fanno, la conoscenza del quale è un vanto per i virtuosi, un banco di prova per neoteri e battzfrasche. Il più comune si chiama Francescomio, perché par dica in fretta, cantando, quelle due parole. C'è poi il Barbazio, flauto dei colli, e ci sono, meno frequenti, i due tipi di Ciccibeo1: quello semplice, che alloga sempre tra gli olmi, e quello, ricercatissimo, con il cik finale. Il Ciccicio e il Ciccipio, scontrosissimi e amati, prevalgono tra gli stanziali. Il Sarsifio, con i tre triès, i tre tròi e i tre çol, è il classico
cantore dei monti. Accanto a lui, rettorici un poco, ma più preziosi, vi sono il Crippiopeo, dal corpo snello e gentile, e il çescrio che vanta l'enjambement dei tre çoc a metà delle balze. Un musico particolarmente caro vien detto Ribaltone, dal modulare a scatti il suo canto, dal ribaltarne appunto le note; un altro Striscione, ma il non plus ultra di tuttti i cantori è il Monte Giove. Codest'araba fenice, che mai io conobbi, usa, a detta dei savi, anche tre chiavi, e batte, andando e tornando, fino a sedici balze.Il trevigiano Montello alloga invece un campione a cui si dà il nome di Boschereccio, che è un Francescomio più corto e più strapazzato, ma con tre quin e due çoc tra le balze, che lo rendono particolarmente squillante. E vi sono poi i due tipi di Fuicio: quello con il vuìço e quello col/riço, i tre çivetrio - a sei, a nove, a dodici balze - e il Visçò. Altri variano con minor grazia i canti più noti e son detti bolsoni o strappafrasche. I migliori comunque per l'uccellanda son quelli che usano doppiar la cantata o triplicarla, frapponendo alle battute un sonorissimo cik; altri, in luogo del cik, pronunciano lo s/rin e altri ancora il çoc, che è poi la più volgare delle fringuelllesche cantate, quella che l'uccello emette volando o in ferma tra i rami.

Tutti i sopraddetti cantori, se ingabbiati da adulti, diventano falsi. Per ottenere esemplari che mantengano la voce di bosco, occorre che li si tolga dal nido. L'uccellatore accorto lascerà pasturare i nati dalla lor madre, mettendoli in una gabbietta, che poi appenderà ai rami dell'albero natio. Li ritirerà appena sapranno un poco arrangiarsi e quando avranno messo la coda e rifatte le penne, sceglierà, tra i due o tre maschi della covata, il più bello, lo trasferirà in una gabbietta d'uccellanda; indi, accecatolo, lo porrà in una stanza ben riparata, intorno ad un vecchio campione da cui l'educando imparerà il verso base, che varierà da se medesimo, nell' anno seguente, secondo il proprio e il paterno talento. Riconosco con la legge esser crudele la cecatura, ma

il duro atto è, in questo caso, solo un precorrere i tempi, ché il fringuello, anche se tolto di nido, ama la libertà al punto che in gabbia non sta mai fermo e volge e rivolge tanto gli occhi intorno che in breve tempo accieca naturalmente per incurabile strabismo. Lo si orba, dopo averlo abituato gradatamente al buio, avvicinandogli alle spalancate pupille una laminetta di ferro rovente, onde egli s'accorge di perder la luce a cose già fatte. E non sbatte le ali intanto, non geme, sicché è lecito sperare che neppure soffra.

Ciechi, i fringuelli sono quieti e cantano meglio, eppure fa tristezza vederli con gli occhi bianchi saltare dai trespoli alle bandinelle sempre un poco intabarrati. L'ora per essi più amara sembra essere quella che volge alla sera. il cieco, percependo allora dal sapore dolci astro dell' aria l'avvento delle tenebre, scande il suo verso con sì struggente abbandono che pare sia entrato un filo di pena a sbarrar di traverso la rosso-villata sua gola; una trama sottile di pianto, che ne spezza il già di per sé rotto cantare e l'attrista. Ma si avverte anche una nota di forza in quei trilli, che nella notte della sua prigionia egli vive la solitudine come un dono ricco del più arduo amore, che in essa è rinato come nel seno di un privilegio, in uno scrigno capace di difenderlo da ogni umana ferocia, dallo stesso dolore ... Gli appassionati lo sanno e tengono cari quegli insuperabili cantori mutilati come e più di se medesimi.

Andar per fringuelli è cerca che· richiede, oltre che buoni richiami, perfezione di mezzi e grande pazienza. Nondimeno i maestri (ma sono i soli) attendono la stagione del passo, che è ottobre, con un'ansia tutta speciale. Non vi sono giorni stabiliti per pigliarli, ché tutti, in tempo di passo, al pari son buoni e parimenti loro conviene ogni ora del giorno. Operano quindi bene quei savi che, per sereno o per pioggia, tengono sempre pronta le tesa e stanno al casotto tutti i giorni dalla mattina alla sera: il momento propizio viene quando meno lo si attende. Le ore più ricche, ad

ogni modo, cominciano dalle undici antimeridiane e giungono fino alle quattro o cinque della sera; le mattutine contano poco, ché i fringuelli sdegnano giuocare intorno ai pali con la rugiada.

Di sera tardi giunge lo stroppo detto dell' amont, il quale cerca fratte ove passare la notte ed è atteso con molta impazienza perché facile a pigliarsi. li giorno di S. Francesco e quello di S. Luca, che cadono rispettivamente il quattro e il diciotto di ottobre, sono detti della buttata rossa, perché pare che in quelle occasioni tutti i fringuelli si diano appuntamento nella Bassa e se ne prendono a centinaia. In altre giornate, anche se apparentemente belle, i migranti restano insensibili al grande cantar dei richiami e tirano via diritti il volo come neppure li udissero. In altre ancora li si vedrà a lungo fermi intorno alla tesa, abbassarsi sopra le gabbie, scendere accanto ai giuochi o sul bosco, dimostrare a mille segni il piacere che godono del verso e della compagnia dei loro simili, restar tranquilli in terra senza curarsi del tenditore; e in certe altre, specie se il tempo sta per farsi piovoso, essendo essi uccelli barometrali, li si vedrà svolazzare qua e là irrequieti, prillar per l'aria dietro alle mosche, scendere, risalire, frullarsi, partire appena posati, ritornare ... Sono uccelli intelligentissimi, è l'ora di dire, ma senza malizia. Li si direbbe signori anche nel farsi pigliare: la vista di foglie secche, di un palo male infrascato, di poche piume che la brezza trascini, di una goccia soltanto di sangue sullo smalto dell' erba li turbano tanto che si vedono balzar da terra arruffati per lo schifo; il sibilo di un richiamo traditore li terrorizza; e il quinio di un compagno (la spia) che dagli alberi chiami a raccolta, basta ad aggruppargli intorno anche quelli che sono già scesi ... Occorre sapienza allora per prenderli e tutto l'amore che basta perché si possa conoscere ogni loro capriccio, ogni fisima e luna.

Per la cerca del fringuello i pali vanno infrascati dalla base alla cima con rami minuti d'acero, di olmo o di. cerro.

li bosco va basso e ben fatto; celate dove il verde è più folto le piccole gabbie con i richiami. Non s'ha da usare filaina, ché i fringuelli avendo vista acutissima, adocchierebbero il filo prima che le femmine imbastate. Ci si può invece servir di pastore, ma con parsimonia, badando a che siano bene addestrate, che non si muovano scompostamente al suolo, e soprattutto che non si lascino trascinare da fregole canore, ché i migranti, sospettosi come sempre sono anche del palo meglio infrascato, preferirebbero gettarsi in terra accanto a loro ... Son regole queste che s'apprendono con l'uccellare; ciò che non s'impara è, ancora una volta, il gusto. Senza di esso non si può esser certi di riuscire e la cerca del fringuello, diventando infruttuosa, non riuscirebbe più che un soggetto di noia.

I veri maestri fringuellai sanno stare alle poste, comunque vada, fino a notte profonda. Alcuni fanno addirittura pranzo e cena in campagna. Tornano dondolando come imbastati nella chiaria della luna ottobrina. Sulle spalle recano la stanga e sotto la giacca, a corona, la sfilza delle prede ancor calde. Appena a casa il primo pensiero che si danno va ai richiami. Offrono loro cibo e acqua fresca, puliscono le gabbie, premiano i più bravi con ogni sorta di oleose leccornie. Solo quando li sanno tranquilli vanno a riposare, e questa, grama, testarda, faticosa, è, finché dura la stagione del passo, la loro vita quotidiana. Non chiedere, lettore, quale sia la ragione di tanta costanza. Se conosci e ami gli uccelli la saprai da te solo; viceversa non capiresti. E a questo punto da me non aspettarti neppure una morale. Ti saluto e vado a infrascarmi. Tu abbimi caro, se puoi, compatisci le mie debolezze e vivi a lungo felice.

(1) Ciccibèo O ciccibio è nome molto antico. Nel Veneto indicava genericamente il fringuello. Veniva usato anche in senso gergale a significare un tipo furbo, insidioso ecc. Boccaccio chiama così un suo celebre personaggio.

e) Vi sono alcuni che usano allenare anche fringuelli pigliati da adulti. Non è consigliabile farlo, ma se si è costretti bisogna tener conto di alcune regole, valide soprattutto per i primi giorni di prigionia. Pulito che sia con gran cura del vischio, l'uccelletto ha da esser posto in una gabbia con le sbarre formate da bastoncini di legno, col solo fondo di fil di ferro. (Scopo della gabbia con bastoncini di legno, si è quello d'impedire che l'uccello, sbattendo contro le sbarre, si ammacchi il capo e si faccia sanguinare la base del becco). L'esperto coprirà poi la gabbia con una tela nera di modo che il prigioniero non possa vedere ciò che succede intorno e resti in una relativa quiete. Non si metta molta acqua nel beverino; dibattendosi l'uccello ne verserebbe in parte il contenuto e si bagnerebbe le penne, morendone. Si porranno nella mangiatoia i semi che esso preferisce, e cioè: miglio, scagliola, cardi, lino, canapa, papavero, orzo, avena e panìco. Bisognerà poi attendere sei o sette giorni, e quando il fringuello sarà bene impastellato, si potrà scoprire la gabbia e portarla all'oscuro per le lezioni.

e) Se li si lascia troppo a lungo, la madre, riapprossimandosi il tempo di una nuova covata, recherebbe loro cibo guasto, avvelenandoli.

(4) Anche gli antichi autori concordano in questo. Cesare Manzini così scrive nei suoi Ammaestramenti per allevare gli uccelli:

« ... si trova questo difetto in lui: che facilmente s'acceca, onde se v'accorgeste che s'incomincia a cecare, prendete sugo di biete, mescolato con un poco d'acqua mettendole nel bevitoio per quel di sooo, acciò di quello beva: vi porrete ancora la stanghetta di fico, dove egli abbia a fregolarsi l'occhio, che gli sarà utilissimo. Appresso li darete a mangiare seme di mellone in spazio di due o tre giorni; per essere quello rinfrescativo e sano ... ».
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Grande Mirco!! questi testi introvabili sono ricchi di consigli utilissimi. Quando avro' tempo per leggerlo me lo presterai.
Roby
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

roberto75 ha scritto:
Grande Mirco!! questi testi introvabili sono ricchi di consigli utilissimi. Quando avro' tempo per leggerlo me lo presterai.
Roby

quando vuoi roby con molto piacere...
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Stama ho visto la mia fringuellina che portava in giro la paglia....un buon segno visto che il maschio è in pieno estro....devo tenerla sotto controllo perchè secondo me non vuole fare il nido dove invece voglio che lo faccia io...... [up.gif]
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Non sapevo che anche tu Aldo allevassi i fringuelli. Qual' è la dimensione della voliera? e la coppia è di allevamento?
Sono curioso.
Roby
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Dire di allevare fringuelli è una parolona...ho una fringuellina che mi fà le uova e allora l'anno scorso l'ho messa insieme ad un fringuello per vedere cosa combinavano...l'ho qua a casa sul terrazzino in una voliera di quelle che si comprano alte più o meno1,60...però è divisa a metà perchè sotto ho altri inquilini cinguettanti...quindi per la coppia la gabbia è più meno grande come una gabbia per canarini di media grande dimensione..l'anno passato mi ha covato una volta ma non è uscito nulla quest'anno vedremo.... [up.gif]
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

me lo sto leggendo tutto gran lavoro ragazzi come sempre!!! ora che pure da noi il fringuello e la peppola sono buoni mi informero meglio mirko se ho intenzione di fare una coppia ti chiedero consigli dato che ho qui 2 femmine e un maschio ti faro sapere...
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Ottimo spunto Roberto75....io non lo ho letto tutto ma x chi è appassionato di lettura e di biologia è interessante [lol.gif]
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Io sono quasi a metà e debbo dire che in questo libro sto scoprendo molte cose interessanti. Credo sia utile conoscere anche queste cose per capire sia i selvatici che i nostri richiami.
Roby
 
Re: Tecniche d'allevamento del Fringuello e della Peppola

Fino a qualche giorno fa c'era su Ebay prova a dare un'occhiata...
 

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