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Lunedì 30 Dicembre 2013 05:22
TAR Trento, Sez. Unica, n.361, del 7 novembre 2013
Caccia e animali.Legittimità revoca licenza porto di fucile per uso caccia, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni
Le norme di legge richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 00361/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00342/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 342 del 2012, proposto da:
Alfiero Sega, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Ongari e con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Malpaga, n. 24
contro
Amministrazione dell'Interno, Commissario del Governo per la Provincia di Trento e Questore di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato di Trento domiciliata per legge in Trento, Largo Porta Nuova, n. 9
per l'annullamento
- del provvedimento del Commissario del Governo per la Provincia di Trento prot. n. 2012/2483/14765/Area 1, del 28.8.2012, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente in data 7.6.2012 avverso il decreto del Questore di Trento che gli ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia;
- del presupposto provvedimento del Questore della Provincia di Trento prot. n. 2425 P.A.S./Cat.6D/2012, datato 19.4.2012, recante la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2013 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col presente ricorso il sig. Sega, titolare di una licenza di porto di fucile per uso di caccia, ha impugnato il provvedimento del 28 agosto 2012, precisamente indicato in epigrafe, con cui il Commissario del Governo per la Provincia di Trento ha respinto il ricorso gerarchico avverso il decreto (anch’esso indicato in epigrafe) con cui il 19 aprile 2012 il Questore di Trento gli ha revocato detta licenza.
2. Il provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia è fondato sui seguenti rilievi:
- la sussistenza di un decreto penale di condanna, depositato il 19.1.2011 e irrevocabile dal 18.2.2011, che ha condannato il sig. Sega alla pena di 2 mesi di reclusione, sostituita con la pena pecuniaria di € 15.000,00, per il reato di cui agli artt. 337 e 339 c.p., resistenza aggravata a pubblico ufficiale, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni il giorno 17 ottobre 2010 in località Masi di Avio;
- il conseguente venir meno dei requisiti essenziali di affidabilità e di buona condotta richiesti ai titolari di porto d’armi.
3. Il provvedimento del Commissario del Governo di reiezione del ricorso gerarchico specifica che è dovere dell’Autorità amministrativa adottare provvedimenti inibitori dell’uso di armi nei confronti di detentori che abbiano posto in essere comportamenti illeciti “come nel caso di specie”.
4. L’atto introduttivo del giudizio è affidato al seguente articolato motivo di censura:
- violazione degli artt. 11 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18.6.1931, n. 773, difetto di motivazione e dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di prova.
Il ricorrente premette anzitutto che il fatto contestato e posto a base della condanna inflittagli non sarebbe stato accertato correttamente e in contraddittorio; egli fornisce quindi una ricostruzione dell’episodio diversa da quella contenuta negli atti di causa, dalla quale si evincerebbe che il guardia caccia avrebbe travisato la sue parole; precisa poi di non aver prestato acquiescenza al decreto penale di condanna ma di non aver proposto opposizione a causa di un grave errore professionale commesso dell’avvocato che lo aveva assistito in quel procedimento; denuncia che la Questura non avrebbe effettuato autonomi accertamenti sulla sussistenza di un pericolo di abuso delle armi, dai quali sarebbe emerso che egli ha sempre mantenuto una condotta irreprensibile e che non ha mai assunto alcun atteggiamento che abbia messo in discussione la sua capacità di non abusare delle armi.
In via istruttoria il deducente ha chiesto ammissione di testimonianza scritta.
5. La costituita Amministrazione dell’Interno ha contestato la fondatezza del ricorso.
6. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Tanto premesso il Collegio pregiudizialmente deve respingere le richieste istruttorie avanzate dal difensore del ricorrente concernenti l’acquisizione della testimonianza scritta del teste Claudio Rizzi di Masi di Avio; infatti, la documentazione versata agli atti di causa è sufficiente per definire la presente vicenda litigiosa.
8. Preliminarmente, giova rammentare che il presupposto normativo del divieto di detenere armi e munizioni si riscontra nell’art. 39 del R.D. 18.6.1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che recita: “il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”. A sua volta, l’art. 43 dello stesso testo unico prescrive che la licenza di portare armi “può essere ricusata … a chi .. non dà affidamento di non abusare delle armi”. Più in generale, quanto alle autorizzazioni di polizia, l’art. 11 dello stesso testo unico prevede che le stesse “devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate”, mentre “possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego”.
Sulla tematica è intervenuta la Corte Costituzionale affermando che il porto d'armi “non costituisce un diritto assoluto”, ma che, all’opposto, è “un’eccezione” al vigente divieto di portare armi. Per cui tale eccezione può operare soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la “perfetta e completa sicurezza” circa il "buon uso" delle armi, in modo tale da scongiurare ogni possibile dubbio o perplessità sotto il profilo prognostico dell'ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività.
Nella stessa pronuncia la Corte ha definito “eccezionale la permissività del porto d'armi” e avallato i rigidi criteri restrittivi regolatori della materia, non solo sul piano normativo (quanto ai requisiti soggettivi per il rilascio della licenza in materia di armi), ma anche su quello amministrativo (in ciò testualmente rinviando alla giurisprudenza del Consiglio di Stato), per cui ha concluso affermando che l'autorità amministrativa ha “ampia discrezionalità nell'assentire o meno alla richiesta di porto d'armi” perché “il controllo deve essere più penetrante” rispetto a quello che la stessa autorità effettua ordinariamente con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso (cfr., sentenza 16.12.1993, n. 440, pur pronunciata nell’ambito della dichiarata illegittimità costituzionale di alcune norme del citato testo unico che ponevano a carico dell’interessato l’onere di provare la buona condotta).
9. L’orientamento della giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente ritiene, dal canto suo, che i provvedimenti che impongono il divieto di detenere armi, così come i provvedimenti di revoca ed anche di sospensione temporanea della relativa licenza, costituiscano esercizio di un “potere connotato da elevata discrezionalità”, in considerazione delle finalità per cui lo stesso è attribuito: la tutela dell'ordine pubblico non solo in caso di lesione accertata dopo un avvenuto "abuso”, ma anche “in caso di pericolo di lesione”, sicché “si tratta di un potere attribuito anche con fini di prevenzione della commissione di illeciti” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 10.05.2006, n. 2576; 22.5.2006, n. 2945).
L’esercizio di questo potere ampiamente discrezionale, che involge un giudizio prognostico, è pertanto finalizzato a perseguire l'interesse pubblico volto all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione dei pericoli che conseguono all’uso delle armi, con riferimento alla condotta e all'affidamento complessivo che un soggetto può dare in ordine alla possibilità di abusarne (cfr., C.d.S., sez. VI, 11.12.2009, n. 7774).
Considerato perciò il carattere preventivo di detto divieto, per l’assunzione del relativo provvedimento non è nemmeno necessario che vi sia già stato uno specifico abuso da parte dell'interessato, in quanto è sufficiente che sia dimostrata, sulla base di elementi oggettivi, una scarsa affidabilità nell’uso e nella detenzione delle armi, ma anche l’incapacità di dominare impulsi ed emozioni (cfr., C.d.S., sez. VI, 24.11.2010, n. 8220; 10.12.2010, n. 8707; 6.7.2010, n. 4280; 8.10.2008, n. 4918; 12.2.2007, n. 535; 18.1.2007, n. 63).
In termini più concreti, le norme di legge sopra riportate richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi” (cfr., T.R.G.A. Trento 24.10.2013, n. 344; 24.7.2013, n. 261; 12.7.2013, n. 244; 7.6.2012, n. 196; 23.2.2012, n. 59 e n. 60; 8.7.2010, n. 169).
10. Ne consegue che, in sede giurisdizionale, il sindacato deve limitarsi all’esame della sussistenza dei presupposti esposti nell’atto impugnato e nella verifica che essi siano idonei a suscitare la convinzione che l’azione amministrativa abbia rispettato i consueti limiti della logicità, coerenza e plausibilità, e che le motivazioni sulle valutazioni effettuate non si presentino irrazionali, incongruenti o arbitrarie (cfr., C.d.S., sez. VI, 18.12.2009, n. 8418 e 17.12.2007, n. 6463).
11. Applicando i riportati principi al caso in esame, si deve anzitutto rilevare che il provvedimento del Questore di Trento è giustificato sui seguenti presupposti:
- la sussistenza di un reato specifico, di cui al decreto penale irrevocabile n. 11/8, del 19.1.2011, commesso il 17.10.2012, quando l’interessato, con in spalla il fucile carico, ha minacciato un guardia caccia - che stava contestandogli una contravvenzione - dicendo “te sbaro en facia” e, di seguito, usando solennemente il plurale maiestatico, “stiamo guardando di toglierti la divisa”;
- nella stessa occasione il ricorrente è stato sanzionato in via amministrativa perché esercitava la caccia alla lepre a circa 40 metri da un immobile adibito ad abitazione, attività vietata dall’art. 38, comma 1, lett. d), della l.p. sull’attività venatoria 9.12.1991, n. 24.
Giurisprudenza Amministrativa TAR |
TAR Trento, Sez. Unica, n.361, del 7 novembre 2013
Caccia e animali.Legittimità revoca licenza porto di fucile per uso caccia, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni
Le norme di legge richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 00361/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00342/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 342 del 2012, proposto da:
Alfiero Sega, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Ongari e con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Malpaga, n. 24
contro
Amministrazione dell'Interno, Commissario del Governo per la Provincia di Trento e Questore di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato di Trento domiciliata per legge in Trento, Largo Porta Nuova, n. 9
per l'annullamento
- del provvedimento del Commissario del Governo per la Provincia di Trento prot. n. 2012/2483/14765/Area 1, del 28.8.2012, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente in data 7.6.2012 avverso il decreto del Questore di Trento che gli ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia;
- del presupposto provvedimento del Questore della Provincia di Trento prot. n. 2425 P.A.S./Cat.6D/2012, datato 19.4.2012, recante la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2013 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col presente ricorso il sig. Sega, titolare di una licenza di porto di fucile per uso di caccia, ha impugnato il provvedimento del 28 agosto 2012, precisamente indicato in epigrafe, con cui il Commissario del Governo per la Provincia di Trento ha respinto il ricorso gerarchico avverso il decreto (anch’esso indicato in epigrafe) con cui il 19 aprile 2012 il Questore di Trento gli ha revocato detta licenza.
2. Il provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia è fondato sui seguenti rilievi:
- la sussistenza di un decreto penale di condanna, depositato il 19.1.2011 e irrevocabile dal 18.2.2011, che ha condannato il sig. Sega alla pena di 2 mesi di reclusione, sostituita con la pena pecuniaria di € 15.000,00, per il reato di cui agli artt. 337 e 339 c.p., resistenza aggravata a pubblico ufficiale, a seguito di minacce rivolte ad un guardia caccia nell’esercizio delle sue funzioni il giorno 17 ottobre 2010 in località Masi di Avio;
- il conseguente venir meno dei requisiti essenziali di affidabilità e di buona condotta richiesti ai titolari di porto d’armi.
3. Il provvedimento del Commissario del Governo di reiezione del ricorso gerarchico specifica che è dovere dell’Autorità amministrativa adottare provvedimenti inibitori dell’uso di armi nei confronti di detentori che abbiano posto in essere comportamenti illeciti “come nel caso di specie”.
4. L’atto introduttivo del giudizio è affidato al seguente articolato motivo di censura:
- violazione degli artt. 11 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18.6.1931, n. 773, difetto di motivazione e dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di prova.
Il ricorrente premette anzitutto che il fatto contestato e posto a base della condanna inflittagli non sarebbe stato accertato correttamente e in contraddittorio; egli fornisce quindi una ricostruzione dell’episodio diversa da quella contenuta negli atti di causa, dalla quale si evincerebbe che il guardia caccia avrebbe travisato la sue parole; precisa poi di non aver prestato acquiescenza al decreto penale di condanna ma di non aver proposto opposizione a causa di un grave errore professionale commesso dell’avvocato che lo aveva assistito in quel procedimento; denuncia che la Questura non avrebbe effettuato autonomi accertamenti sulla sussistenza di un pericolo di abuso delle armi, dai quali sarebbe emerso che egli ha sempre mantenuto una condotta irreprensibile e che non ha mai assunto alcun atteggiamento che abbia messo in discussione la sua capacità di non abusare delle armi.
In via istruttoria il deducente ha chiesto ammissione di testimonianza scritta.
5. La costituita Amministrazione dell’Interno ha contestato la fondatezza del ricorso.
6. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Tanto premesso il Collegio pregiudizialmente deve respingere le richieste istruttorie avanzate dal difensore del ricorrente concernenti l’acquisizione della testimonianza scritta del teste Claudio Rizzi di Masi di Avio; infatti, la documentazione versata agli atti di causa è sufficiente per definire la presente vicenda litigiosa.
8. Preliminarmente, giova rammentare che il presupposto normativo del divieto di detenere armi e munizioni si riscontra nell’art. 39 del R.D. 18.6.1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che recita: “il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”. A sua volta, l’art. 43 dello stesso testo unico prescrive che la licenza di portare armi “può essere ricusata … a chi .. non dà affidamento di non abusare delle armi”. Più in generale, quanto alle autorizzazioni di polizia, l’art. 11 dello stesso testo unico prevede che le stesse “devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate”, mentre “possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego”.
Sulla tematica è intervenuta la Corte Costituzionale affermando che il porto d'armi “non costituisce un diritto assoluto”, ma che, all’opposto, è “un’eccezione” al vigente divieto di portare armi. Per cui tale eccezione può operare soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la “perfetta e completa sicurezza” circa il "buon uso" delle armi, in modo tale da scongiurare ogni possibile dubbio o perplessità sotto il profilo prognostico dell'ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività.
Nella stessa pronuncia la Corte ha definito “eccezionale la permissività del porto d'armi” e avallato i rigidi criteri restrittivi regolatori della materia, non solo sul piano normativo (quanto ai requisiti soggettivi per il rilascio della licenza in materia di armi), ma anche su quello amministrativo (in ciò testualmente rinviando alla giurisprudenza del Consiglio di Stato), per cui ha concluso affermando che l'autorità amministrativa ha “ampia discrezionalità nell'assentire o meno alla richiesta di porto d'armi” perché “il controllo deve essere più penetrante” rispetto a quello che la stessa autorità effettua ordinariamente con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso (cfr., sentenza 16.12.1993, n. 440, pur pronunciata nell’ambito della dichiarata illegittimità costituzionale di alcune norme del citato testo unico che ponevano a carico dell’interessato l’onere di provare la buona condotta).
9. L’orientamento della giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente ritiene, dal canto suo, che i provvedimenti che impongono il divieto di detenere armi, così come i provvedimenti di revoca ed anche di sospensione temporanea della relativa licenza, costituiscano esercizio di un “potere connotato da elevata discrezionalità”, in considerazione delle finalità per cui lo stesso è attribuito: la tutela dell'ordine pubblico non solo in caso di lesione accertata dopo un avvenuto "abuso”, ma anche “in caso di pericolo di lesione”, sicché “si tratta di un potere attribuito anche con fini di prevenzione della commissione di illeciti” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 10.05.2006, n. 2576; 22.5.2006, n. 2945).
L’esercizio di questo potere ampiamente discrezionale, che involge un giudizio prognostico, è pertanto finalizzato a perseguire l'interesse pubblico volto all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione dei pericoli che conseguono all’uso delle armi, con riferimento alla condotta e all'affidamento complessivo che un soggetto può dare in ordine alla possibilità di abusarne (cfr., C.d.S., sez. VI, 11.12.2009, n. 7774).
Considerato perciò il carattere preventivo di detto divieto, per l’assunzione del relativo provvedimento non è nemmeno necessario che vi sia già stato uno specifico abuso da parte dell'interessato, in quanto è sufficiente che sia dimostrata, sulla base di elementi oggettivi, una scarsa affidabilità nell’uso e nella detenzione delle armi, ma anche l’incapacità di dominare impulsi ed emozioni (cfr., C.d.S., sez. VI, 24.11.2010, n. 8220; 10.12.2010, n. 8707; 6.7.2010, n. 4280; 8.10.2008, n. 4918; 12.2.2007, n. 535; 18.1.2007, n. 63).
In termini più concreti, le norme di legge sopra riportate richiedono che il detentore di armi e di munizioni sia esente da qualsiasi sospetto o indizio a lui sfavorevoli (riferiti al complesso di comportamenti, atteggiamenti e situazioni che coinvolgono l’interessato, anche non penalmente rilevanti); che sia “indenne da mende”: cioè che osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza non solo, ovviamente, delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, ma anche delle comuni regole di convivenza civile; che nei suoi confronti, in definitiva, sussistano “margini assoluti di sicurezza circa il buon utilizzo delle armi” (cfr., T.R.G.A. Trento 24.10.2013, n. 344; 24.7.2013, n. 261; 12.7.2013, n. 244; 7.6.2012, n. 196; 23.2.2012, n. 59 e n. 60; 8.7.2010, n. 169).
10. Ne consegue che, in sede giurisdizionale, il sindacato deve limitarsi all’esame della sussistenza dei presupposti esposti nell’atto impugnato e nella verifica che essi siano idonei a suscitare la convinzione che l’azione amministrativa abbia rispettato i consueti limiti della logicità, coerenza e plausibilità, e che le motivazioni sulle valutazioni effettuate non si presentino irrazionali, incongruenti o arbitrarie (cfr., C.d.S., sez. VI, 18.12.2009, n. 8418 e 17.12.2007, n. 6463).
11. Applicando i riportati principi al caso in esame, si deve anzitutto rilevare che il provvedimento del Questore di Trento è giustificato sui seguenti presupposti:
- la sussistenza di un reato specifico, di cui al decreto penale irrevocabile n. 11/8, del 19.1.2011, commesso il 17.10.2012, quando l’interessato, con in spalla il fucile carico, ha minacciato un guardia caccia - che stava contestandogli una contravvenzione - dicendo “te sbaro en facia” e, di seguito, usando solennemente il plurale maiestatico, “stiamo guardando di toglierti la divisa”;
- nella stessa occasione il ricorrente è stato sanzionato in via amministrativa perché esercitava la caccia alla lepre a circa 40 metri da un immobile adibito ad abitazione, attività vietata dall’art. 38, comma 1, lett. d), della l.p. sull’attività venatoria 9.12.1991, n. 24.