COMUNE E PROVINCIA
T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 17-09-2012, n. 7839
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4540 del 2010, proposto da:
Atgvi Associazione Tutela Guardie Volontarie D'Italia, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Di Giovanni, con domicilio eletto presso Alessandro Di Giovanni in Roma, via N. Tartaglia, 5;
contro
Provincia di Roma, in persona del Presidente della Giunta p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna Albanese, con domicilio eletto presso Provincia Di Roma Provincia Di Roma in Roma, via IV Novembre, 119/A;
per l'annullamento
del regolamento per il servizio di vigilanza venatoria volontaria adottato con delibera n. 10 emessa dal consiglio provinciale in data 22.2.2010, pubblicato dal 24.2.2010;.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2012 il dott. Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe, l'associazione ricorrente, precisando di svolgere attività di difesa dell'ambiente naturale e di valorizzazione dell'attività delle Guardie venatorie volontarie, impugna la delibera provinciale con cui è stato dettato il "Regolamento per il servizio di vigilanza venatoria volontaria" nella parte in cui esso, pur qualificando le Guardie venatorie volontarie come pubblici ufficiali, poi li "degraderebbe" a meri soggetti privati, prevedendo agli artt. 10 e 11 limitazioni e prescrizioni tali che impediscono loro di esplicare la loro attività con maggiore forza coercitiva.
Si tratta in particolare delle disposizioni concernenti il vestiario e i tesserini, finalizzate a chiarire l'appartenenza delle guardie venatorie ad associazioni di volontariato e l'esclusione della loro appartenenza ad un corpo di vigilanza o di polizia.
Nel ricorso si deduce in sostanza l'irragionevolezza di tali previsioni sotto vari profili.
La Provincia si è costituita e ha depositato una memoria per eccepire in primo luogo il difetto di legittimazione della associazione ricorrente e comunque per chiedere la reiezione del ricorso perché infondato.
L'istanza cautelare è stata respinta con ordinanza in data 23 giugno 2010.
Il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto, il che consente al collegio di esimersi dall'esaminare anche l'eccezione preliminare di inammissibilità.
L'associazione ricorrente lamenta sostanzialmente che il regolamento nonostante riconosca alle guardie giurate venatoria all'art. 10 la qualifica di Pubblico ufficiale, prescrive poi all'art. 11 l'uso di denominazioni e distintivi come se si trattasse di meri soggetti privati.
Si prevede in particolare l'obbligo di indossare l'uniforme e il distintivo approvati preliminarmente dalla Questura di Roma, di indicare sulle divise o nei distintivi la dizione: "associazione di volontariato", di usare fregi, mostrine e gradi che non siano simili a quelle in uso alle Forze dell'ordine, che i tesserini non debbano recare diciture relative a qualifiche giuridiche, il divieto di usare espressioni come: "Corpo di vigilanza", "Comando regionale", ecc., il divieto di fare uso sugli autoveicoli in uso alle guardie venatorie di dispositivi supplementari acustici e di segnalazione visiva nonché l'uso della paletta segnaletica di intimazione dell'alt, il divieto di svolgere un servizio di vigilanza riguardante contestualmente più tipi di attività (zoofila, ittica, ecc.).
Osserva il collegio che la costante giurisprudenza della Cassazione penale (v. da ultimo Cassazione penale sez. I, 05 luglio 2011, n. 34688) è consolidata nel ritenere che le guardie venatorie, pur non essendo agenti di polizia giudiziaria (cfr. tra molte, Sez. 3, n. 14231 del 15/02/2008, Steccanella, Rv. 239660; Sez. 3, sent. n. 13600 del 05/02/2008, Paganelli, Rv. 239572; Sez. 3, sent. n. 15074 del 27/02/2007, Zanola, Rv 236339; significativa è d'altro canto la espressa attribuzione di tale qualifica soltanto ai soggetti indicati alla lettera a della L. n. 157 del 1992, art. 27, comma 1), nell'esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria loro assegnate ricoprono la veste di pubblici ufficiali, poiché esercitano poteri autoritativi e certificativi nell'ambito dell'attività di protezione della fauna selvatica che, in quanto patrimonio indisponibile dello Stato, attiene ad un interesse pubblico della comunità nazionale (Sez. 1, n. 5609 del 12/04/1984, Forlani, Rv. 164839; Sez. 5, n. 4898 del 08/04/1997, Vitarelli, Rv.207896). La guardia venatoria volontaria è, in altri termini, come qualsivoglia altra guardia giurata, pubblico ufficiale quando, e soltanto quando, svolge le funzioni d'interesse pubblico che gli sono specificamente ed espressamente attribuite; e limitatamente ad esse (cfr., in relazione alle guardie ecologiche, Sez. 6, n. 9722 del 09/07/1998 Garavaglia Rv. 213041; in relazione alle guardie zoofile, cui è affidata la vigilanza delle norme relative alla protezione degli animali di affezione per la limitazione a tale funzione, Sez. 1, n. 34510 del 10/07/2008 Marani Rv. 241633). Perché sorga la qualifica di pubblico ufficiale, occorre, dunque, che ricorra l'esercizio delle funzioni.
In linea con tale orientamento, il regolamento impugnato ha ribadito la qualifica di pubblici ufficiali delle guardie volontarie venatorie nell'esercizio delle loro funzioni, non riconoscendo loro funzioni di polizia giudiziaria.
Per quanto riguarda poi le prescrizioni dettate dall'art. 11 del regolamento, esse non sono affatto irragionevoli, come sostiene l'associazione resistente, ma anzi - una volta chiarito che le guardie volontarie venatorie sono pubblici ufficiali - tendono a garantire la non confondibilità di esse con gli appartenenti ai corpi di polizia, in tal modo recependo anche le indicazioni del legislatore che, come ha sottolineato la Provincia nella sua memoria, ha recentemente introdotto nel codice penale l'art. 497 ter che punisce l'uso di contrassegni, distintivi, oggetti ecc. simili a quelli in uso agli operatori di polizia ovvero che possano trarre in inganno circa la qualità personale di chi li dovesse illecitamente usare. Le prescrizioni del citato art. 11, inoltre, riproducono quasi testualmente quelle della circolare della Questura di Roma del 5.5.2008, indirizzata appunto alla Provincia di Roma, con la quale sono state dettate prescrizioni volte a garantire "l'immediata riconoscibilità delle guardie particolari giurate" e ad evitare che esse possano essere confuse con il personale di polizia.
D'altro canto, non sembra nemmeno che possa ravvisarsi un interesse giuridicamente protetto in capo alla associazione ricorrente che possa dirsi effettivamente leso da tali prescrizioni, le quali non fanno altro che meglio specificare l'uso di distintivi, divise, tesserini ecc. in modo da non ingenerare confusione nel pubblico circa l'effettiva qualità di chi ne fa uso. Sotto questo profilo, dunque, potrebbe anche porsi in dubbio l'ammissibilità della censura.
Il ricorso, in conclusione, deve comunque essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore