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È esperienza comune che i ripopolamenti con selvaggina allevata (soprattutto fagiani) diano risultati molto deludenti soprattutto in termini di riproduzione. Uno studio condotto alcuni anni fa in Gran Bretagna (UK) conferma quelle che sono le sensazioni anche per il nostro Paese anche se si tratta di situazioni molto diverse: in UK il ripopolamento con soggetti di allevamento è utilizzato in modo massivo (la caccia è infatti una fonte significativa di reddito per molti proprietari terrieri), basti pensare che annualmente vengono immessi circa 35 milioni di fagiani a scopo venatorio! Proprio però per questo motivo la Gran Bretagna può essere utilizzata per valutare l’efficienza del ripopolamento e i problemi connessi con un ricorso così intenso e generalizzato a questa pratica.

Si è osservato che se negli anni ‘60 la resa dei fagiani abbattuti rispetto a quelli immessi era di circa il 50%, oggi l’efficienza delle immissioni è scesa ad un livello inferiore al 35%
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Fig. 1) Resa dei ripopolamenti di fagiano in UK dal 1960 ad oggi
Inoltre, si stima che solo il 15% dei fagiani immessi per ripopolamento e sfuggiti al prelievo venatorio arrivi alla stagione successiva a quella dell’immissione. Certamente, in Gran Bretagna l’intensificazione delle tecniche di allevamento a livello industriale e l’estensione della caccia per tutto gennaio possono aver causato un aumento del rischio di mortalità per cause naturali, tuttavia tra queste, le perdite per predazione sembrano essere le principali (si sospetta espressamente la volpe).

Per paragone i soggetti nati e allevati nell’ambiente selvatico hanno un tasso di sopravvivenza di circa sette volte superiore rispetto a quelli di allevamento.

Se poi affrontiamo il problema del successo riproduttivo degli animali derivanti dall’allevamento i dati sono ancora più drammatici.

È stato osservato, sempre nello studio inglese menzionato, che fino al 1990 circa, il carniere di fagiano presentava una stretta correlazione con la sopravvivenza estiva dei fagianotti. Questo suggerisce che il carniere dipendesse più dalla riproduzione dei soggetti selvatici che dai ripopolamenti e/o che questi ultimi erano in grado di contribuire alla riproduzione naturale.

Dal 1990 in poi però non si registra più questa correlazione ed è quindi evidente che il contributo di questi animali alla riproduzione si è quasi azzerato. In pratica le popolazioni selvatiche sono state sostituite da quelle di allevamento che però non sono in grado di riprodursi a livelli tali da sostenere le popolazioni.

Anche uno studio fatto in Toscana negli anni 2000 metteva in evidenza che il carniere di questa specie era correlato con la percentuale di ZRC mentre non mostrava alcuna relazione con il numero di fagiani di allevamento “lanciati”.

I fagiani allevati infatti mostrano una fitness molto inferiore a quelli selvatici per vari motivi (comportamentali, genetici, sanitari ecc).

È fondamentale quindi mantenere il più possibile delle popolazioni selvatiche di questa specie (e della piccola selvaggina stanziale in generale) attraverso la gestione di una rete di aree protette (ZRC e Istituti simili) e/o adottare delle forme di prelievo che non esauriscano la risorsa faunistica.
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Fig. 2) Una rete di Istituti faunistici come ZRC o simili, ben vocati alla piccola selvaggina e gestiti attivamente, è ancora uno degli strumenti più efficaci per la conservazione e il prelievo del fagiano e della piccola selvaggina in generale.
Robertson et al. (2017). Pheasant release in Great Britain: long-term and large-scale changes in the survival of a managed bird. European Journal of Wildlife Research, 63(6), 100.

Santilli, F., & Bagliacca, M. (2008). Factors influencing pheasant Phasianus colchicus harvesting in Tuscany, Italy. Wildlife Biology, 14(3), 281-287.


Dr. Francesco Santilli – Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro Ambientali Federcaccia