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Vi posto un articolo che reputo simpatico e che fa capire cosa significa la caccia per molta gente qui nel bresciano....
ciao
Umberto Pintossi: al capanno con papà
Diana forever. Cacciatori per sempre. Fino all'ultima legge, alla peggiore
delle restrizioni, alla cancellazione della penultima specie cacciabile.
Umberto Pintossi è solo classe 1947, un ragazzo. Questa prima domenica
mattina di caccia accompagnerà suo padre Emilio, che ha 93 anni compiuti, su al capanno di famiglia, alla «Tesa del Cont», sopra i monti di Polaveno. La mamma Maria Belleri sorride (lei è solo del 1919): «Per loro il capanno è tutto. È la loro vita. Non fanno del male a nessuno».
IL NONNO ricorda, ma senza rancore: «Una volta portavamo giù gli uccelli
con il gerlo. Adesso sono altri tempi e non si può pensare di tornare indietro.
È come per i funghi: anche quelli (e solo i rossi) riempivano i "zerlècc". Oggi ne trovi due o tre nella posta e sei contento».
Al bar-ristoro della famiglia Bresciani di Brione il nonno Primo sfodera
le sue 59 licenze, che sono davvero tante per uno della classe 1933: «Qui in paese siamo in 600 abitanti e ci sono 100 licenze di caccia. Io non sono vecchio come Emilio Pintossi, ma è possibile che nessuno pensi ai danni che farebbe la fine della caccia per noi vecchi? Solo calicini? Poi magari il Comune ci manda le donne».
SONO le assistenti sociali, ma è evidente come la caccia sia un impegno
vitale per i 12 mila bresciani che hanno nella cura della «posta» una vera
ragione di vita. E di salute. E di relax per le mogli. E di tranquillità per i
medici di base. Senza pensare alla valenza ambientale.
Umberto Pintossi va però giù pesante: «Noi capannisti siamo una specie in
via d'estinzione. Stanno facendo di tutto per farci appendere il fucile al
chiodo. Ho la licenza da quarantacinque anni e non ho mai preso una multa, ma oggi chi entra in un capanno pensa di essere in galera».D. RAV
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ciao
Umberto Pintossi: al capanno con papà
Diana forever. Cacciatori per sempre. Fino all'ultima legge, alla peggiore
delle restrizioni, alla cancellazione della penultima specie cacciabile.
Umberto Pintossi è solo classe 1947, un ragazzo. Questa prima domenica
mattina di caccia accompagnerà suo padre Emilio, che ha 93 anni compiuti, su al capanno di famiglia, alla «Tesa del Cont», sopra i monti di Polaveno. La mamma Maria Belleri sorride (lei è solo del 1919): «Per loro il capanno è tutto. È la loro vita. Non fanno del male a nessuno».
IL NONNO ricorda, ma senza rancore: «Una volta portavamo giù gli uccelli
con il gerlo. Adesso sono altri tempi e non si può pensare di tornare indietro.
È come per i funghi: anche quelli (e solo i rossi) riempivano i "zerlècc". Oggi ne trovi due o tre nella posta e sei contento».
Al bar-ristoro della famiglia Bresciani di Brione il nonno Primo sfodera
le sue 59 licenze, che sono davvero tante per uno della classe 1933: «Qui in paese siamo in 600 abitanti e ci sono 100 licenze di caccia. Io non sono vecchio come Emilio Pintossi, ma è possibile che nessuno pensi ai danni che farebbe la fine della caccia per noi vecchi? Solo calicini? Poi magari il Comune ci manda le donne».
SONO le assistenti sociali, ma è evidente come la caccia sia un impegno
vitale per i 12 mila bresciani che hanno nella cura della «posta» una vera
ragione di vita. E di salute. E di relax per le mogli. E di tranquillità per i
medici di base. Senza pensare alla valenza ambientale.
Umberto Pintossi va però giù pesante: «Noi capannisti siamo una specie in
via d'estinzione. Stanno facendo di tutto per farci appendere il fucile al
chiodo. Ho la licenza da quarantacinque anni e non ho mai preso una multa, ma oggi chi entra in un capanno pensa di essere in galera».D. RAV
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