Re: Salento terra bruciata da interessi economici e politici
Re: Salento terra bruciata da interessi economici e politici
Fianlmente è notizia di oggi attinta dal sito
www.taccoditalia.info
Scandalo Green Economy: stop al fotovoltaico in Puglia
manifestazione
Sequestri dell'Antimafia in tutto il Sud per infiltrazioni mafiose e inchieste delle procure pugliesi per irregolarità
Il Forum Ambiente e Salute e il Coordinamento Civico (reti coordinative di oltre 30 associazioni) chiedono senso di responsabilità e delle istituzioni, oggi più che mai necessari nel grave scandalo della Green Economy, da parte degli amministratori della Regione Puglia democraticamente eletti dalla gente pugliese per il bene del territorio.
"Stiamo assistendo a un assurdo ed intollerabile 'scarica responsabilità' tra Istituzioni ed Enti di fronte al palesarsi del gravissimo disastro ambientale causato alla Puglia da una folle politica pro-energie rinnovabili in forme industriali, che negano ogni buon principio di vera ecologia!" scrivono nel comunicato.
"Centinai di deserti di pannelli fotovoltaici estesi su più ettari, da tre fino a numerose decine, minacciano pascoli rocciosi, vigneti, prati, seminativi e persino macchie, oliveti e frutteti! Un dramma di proporzioni bibliche che costituisce di per se un crimine politico-amministrativo per la negazione di ogni buon principio di pianificazioni urbanistica, della Costituzione Italiana, di ogni principio sanitario di prevenzione e precauzione, e di ogni rispetto per la cultura e per la natura pugliese.
E' messa a rischio la vivibilità stessa del territorio pugliese per l'uomo, dai mille progetti autorizzati o in via di autorizzazione di impianti fotovoltaici industriali e di mega torri eoliche pronte a imprigionare i pugliesi in un carcere di centinaia di pali d'acciao in ogni direzione, che rubano il cielo, sfregiato da pale eternamente ed ossessivamente rotanti.
Uno stress psico-fisico inaccettabile connesso a questa grave alterazione del paesaggio quotidiano, con i campi invasi dai 'lager' dei pannelli di silicio, cui si aggiunge l'aumento dei rischi sulla salute da elettrosmog, inquinamento acustico e visivo persino notturno da luci di segnalazione sulle torri eoliche, inquinamento chimico da diserbanti usati a tonnellate negli impianti fotovoltaici.
Senza scendere nei particolari scabrosi del bluff delle biomasse, fonte di grave pressione sull'ambiente.
Un quadro assurdo catastrofico, che l'Arpa Puglia (Agenzia Regionale per la Prevenzione e l'Ambiente), in una lettera a firma del suo direttore, l'epidemiologo di fama mondiale, Prof. Giorgio Assennato, ha già chiesto mesi fa al Presidente Nichi Vendola di fermare!
Oggi invece abbiamo visto Vendola volare con soldi pubblici in Cina, per chiedere anche ai cinesi di venire in Puglia ad investire in fotovoltaico, altro fotovoltaico che sia aggiunge a quella devastazione coloniale, a quella rapina di incentivi pubblici, attuata da spagnoli, austriaci, tedeschi, americani, danesi, olandesi, ecc. persino russi tra poco, con la collusione dei politici locali! Un mercimonio del nostro futuro che le parole non bastano a condannare!
Il tutto in un quadro di menzogne ecologiste che calpestano la stessa ecologia, distorcono la logica, mascherano i gravi impatti sull'ambiente e i nulli benefici per il territorio; evitano di fare sapere che saranno nulle le riduzioni complessive di emissioni inquinanti, in una Puglia che già produce ben oltre il proprio fabbisogno energia, nonostante i surplus prodotti dalle rinnovabili, solo pertanto a fini puramente speculativi!
Oggi la conferma da parte delle procure italiane, la Dia, la Direzione Investigativa Anti-mafia, ha confermato il grave inquinamento del settore della Green Economy industriale da parte della mafia.
Una situazione che già da tempo le associazioni ambientaliste pugliesi, quali Italia Nostra in prima linea e la Lipu, Lega Italiana Protezione Uccelli, hanno denunciato, parlando già del rischio, oggi confermato, dell'utilizzo della cosiddetta Green Economy, che nulla ha di 'green', di 'verde', per il riciclaggio persino di denaro sporco!
Denunce che hanno incontrato le critiche di quelle associazioni colluse invece purtroppo con il grave business delle rinnovabili che rappresenta la più grave e devastante speculazione delle storia del sud Italia, come ha denunciato anche il Ministro all'Economia, Giulio Tremonti!
Alla luce di tutto ciò, così come fatto nei giorni scorsi dall' onorevole Vittori Sgarbi, sindaco di Salemi, nei confronti del presidente della Regione Sicilia, all'indomani dei sequestri di numerosi impianti eolici e fotovoltaici legati alla mafia, chiediamo con forza al presidente della Regione Puglia, Nichi Vedola, di varare l'urgente moratoria di tutti gli impianti già autorizzati o in via di approvazione, di eolico e fotovoltaico industriali, ovvero non destinati ad autoproduzione di corrente elettrica, che da soli basterebbero, se realizzati, al completo annientamento del territorio e del paesaggio pugliese!
Chiediamo a lui e all'Assessore all'Ambiente Lorenzo Nicastro, confidando nella sua esperienza e sensibilità di magistrato, mai come oggi necessaria per salvare la Puglia dall'inquinamento legale e ambientale delle rinnovabili industriali, di procedere ad un urgente divieto del fotovoltaico industriale in tutte le zone agricole della Regione, senza distinzioni inconsistenti vacue e strumentali tra 'zone agricole di pregio' e 'zone agricole degradate', come in certi ambienti e sotto la pressione delle lobby che hanno fatto dell'ecologia motivo di questa volgarissima speculazione, si sta tentando di fare, ed autorizzarlo invece solo in zone industriali, artigianali e di servizi, e sui tetti e tettoie di edifici e strutture recenti; un provvedimento improcrastinabile sul quale chiediamo l'impegno di tutti i consiglieri di opposizione e maggioranza. Oltraggiare la campagna con questi impianti vuol dire violare la sacralità della nostra stessa vita, intrinsecamente legata alla terra, e gli interessi ed i diritti delle future generazioni.
La moratoria, già richiesta da consiglieri d'opposizione e dalle associazioni e comitati e che la Regione ha sempre cercato di non varare con mille scusanti di incostituzionali e motivazioni finanziaria, serve per avere il tempo materiale per una nuova pianificazione energetica ed impiantistica virtuosa, per fermare la catastrofe Puglia, che sta violando i diritti dell'uomo, per una bonifica legale dei progetti attraverso lo stanamento delle strategie di corruzione che stanno connotando il settore in Puglia, iniziando dall'anagrafe accurata dei nomi dei proprietari dei terreni dove sono ubicate in previsione o nei fatti torri eoliche ed impianti fotovoltaici industriali, e le loro relazioni di parentela eventuali con politici, funzionari pubblici, pregiudicati ed amministratori.
Il caso dell'impianto eolico di Martignano, sotto perocesso penale per tali aspetti e le denunce per situazioni analoghe che stanno giungendo da tutto il Salento, implicando un urgente approfondimento in tal senso da parte del mondo della politica oltre che di quello della magistratura e delle forze dell'ordine.
La Puglia, la sua storia, i suoi paesaggi, la sua vivibilità, bellezza e salubrità, non hanno prezzo: non si adduca più dunque scusanti vane, per non agire, come nel potere del presidente della Regione, come la scusante ridicola del rischio di richiesta di risarcimenti da parte delle aziende di cui si deve frenare subito l'assalto devastante sul territorio con la moratoria ed il ritiro delle autorizzazioni concesse senza il minimo senso di responsabilità!
Qualsiasi prezzo sarebbe sempre indicibilmente inferiore ai valori che oggi questa politica dell'energie scellerata minaccia di togliere alla Puglia e a tutti i pugliesi! La Puglia non è più terra di conquista per nessuno, ma è la casa in cui ogni pugliese vuole vivere dignitosamente in salubrità e felicità!
7 settembre 2010 - Mafia ed energie rinnovabili in Salento
Mega eolico off-shore di Tricase e mafia della Green Economy: un'inchiesta del Corriere della Sera a firma di Carlo Vulpio denuncia il 5 settembre scorso ciò che il procuratore Motta, associazioni come Libera, giornali come il Tacco d'Italia, hanno da tempo denunciato: la mafia ha allargato i suoi interessi nel settore delle energie rinnovabili. Qui, in Puglia.
Carlo Vulpio (sezione Cultura, pag. 32) parla dei taciuti gravi impatti ambientali dell'impianto eolico off-shore a largo di Tricase, nel Canale d'Otranto, e più in generale sull' affaire green economy, dai connotati mafiosi, che sta devastando, con centinaia di mega torri eoliche ovunque e deserti artificiali di migliaia di ettari di pannelli fotovoltaici, il Salento e la Puglia.
Vulpio è solo l'ultima di una serie di firme che hanno portato all'attenzione nazionale il problema.
Due le pagine sul Corsera del 28 agosto scorso:
"Salento: Pannelli solari e pale tra gli ulivi. E la storia muore" di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, con richiamo in prima e il lungo speciale, sugli stessi critici argomenti (legati agli immensi danni dell'invasione eolica e fotovoltaica industriale del territorio pugliese), corredato di numerose foto, apparso sulla famosa rivista di approfondimento culturale e di viaggi "Geo", a firma di Antonio Castaldo, nel numero di agosto 2010.
Ancora prima L'Espresso, a firma di Gatti con l'inchiesta di copertina "Vento di mafia".
Il Manifesto, a firma del Direttore del "Tacco" Maria Luisa Mastrogiovanni, ha pubblicato diversi articoli sui giochi societari poco trasparenti che sono alla base di alcuni investimenti nel settore delle energie rinnovabili.
Ecco a seguire l'articolo di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo del 28 agosto 2010
Pannelli solari e pale tra gli ulivi. E la storia muore
A pochi chilometri da dove nacque l`ultimo ministro borbonico, il miraggio (e i quattrini) delle energie alternative distruggono il paesaggio
Tira una brutta aria eolica, per le ninfe e i fanciulli che da millenni vivono tra gli ulivi secolari del meraviglioso colle San Giovanni a Giuggianello: non hanno i timbri in regola. C'è chi dirà: ma se ne hanno scritto Nicandro e Ovidio e probabilmente pure Aristotele! Fa niente: non hanno i timbri in regola.
Lo dice una sentenza del Consiglio di Stato. Secondo il quale un posto può anche essere la culla della memoria magica di un popolo ma se non ha le carte in regola, cioè un timbro della sovrintendenza che dice che effettivamente è la culla della memoria magica di un popolo, non ha diritto a tutele. Testuale: «A prescindere dal fatto che tali miti e leggende non risultano essere stati individuati da un provvedimento legislativo, non si vede come l'impianto degli aerogeneratori possa interferire su tale patrimonio culturale».
Appunto: «non si vede». Nel senso che i giudici non hanno «visto» l'area in cui dovrebbero sorgere le immense pale eoliche se non sulla carta. Perché certo non avrebbero mai potuto scrivere una cosa simile se fossero saliti su queste colline dolci che hanno incantato nei secoli i viaggiatori. Se avessero visto, scavata nella viva roccia, l'antica e commovente chiesetta rupestre di San Giovanni. Se si fossero fermati davanti a questi massi enormi dalle forme incredibili che scatenarono le fantasie e la devozione dei nostri avi. Se avessero camminato all'ombra di questi ulivi grandiosi. Come può un paradiso bucolico come questo non essere devastato da 12 pale eoliche alte 80 metri cioè quanto 12 palazzine di 25 piani?
Eppure questo, salvo miracoli, è il destino della Collina dei Fanciulli e delle Ninfe a Giuggianello, pochi chilometri a sud della strada che da Maglie porta a Otranto, nel Salento. Non è un punto qualunque sulla carta geografica, questa collina. Come spiega l'ambientalista Oreste Caroppo in un delizioso saggio, è conosciuto «l'Acropoli della civiltà messapico-salentina antica».
Qui sono ambientate da migliaia di anni leggende riprese da Nicandro di Colofone: «Si favoleggia dunque che nel paese dei Messapi presso le cosiddette "Rocce Sacre" fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano, e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che essi sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale; e il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: "Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio". E i fanciulli si trasformarono in alberi, nel luogo stesso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe. E ancora oggi, la notte, si sente uscire dai tronchi una voce, come di gente che geme; e il luogo viene chiamato "Delle Ninfe e dei Fanciulli"».
Un mito rilanciato, come dicevamo, da Publio Ovidio Nasone. E trattato anche nel Corpus Aristotelico dove si accenna al salentino Sasso di Eracle: «Presso il Capo Iapigio vi è anche una pietra enorme, che dicono venne da Eracle sollevata e spostata, addirittura con un sol dito». E coltivato dai contadini della zona che raccomandavano ai figlioletti di non andare a giocare alle rocce del «Letto della vecchia», del «Sasso di Eracle» e del «Piede di Ercole», spiega Caroppo, perché potevano «apparire loro le fate» e chissà quale incantesimo erano capaci di fare.
Leggende. Ma nessuno, un tempo, avrebbe osato profanare un sacrario della memoria antica come questo. Così come nessuno avrebbe osato abbattere migliaia di ulivi stuprando quella che da secoli è l`immagine stessa del Salento. Marcello Seclì, presidente della sezione salentina di Italia Nostra, non si dà pace mentre ci trascína tra i viottoli delle campagne tra Parabita e Gallipoli e poi a Scorrano e a sud di Maglie e mostra come intere colline siano state tappezzate da quell'altra forma di violenza alla natura che possono essere le distese sterminate di pannelli fotovoltaici.
Pannelli bruttissimi. Giganteschi. Tirati su senza rispetto per la natura. Per la fatica dei nostri nonni che piantarono gli ulivi sradicati. Per la vocazione turistica dell`area. Fa impressione rileggere oggi quel che mezzo secolo fa scriveva sul «Corriere» Alberto Cavallari parlando del Salento come del «più bel paesaggio d'Italia»: «Sorgono nel leccese i paesi più affascinanti del Sud, come Nardò, o la città morta di Otranto. Restano infatti i borghi civili, asciugati dal mare e dal vento, nitidi come la loro povertà. Le coste, spesso frastagliate nello scoglio, non sono ancora deturpate: sono piene di grotte, leggendarie e favolose, mentre lontano si vedono le "pagliare" dei pastori, e i riverberi, i luccichii dei due mari (come una volta scrisse Piovene) "sembrano quasi incontrarsi a mezz'aria" nel punto in cui l`Italia finisce, o meglio sfinisce, dentro l`atmosfera di un miraggio».
Non aveva dubbi, Cavallari: «Difendere questa provincia e conservarla è così certo l`unico modo di fare della buona economia». Questo doveva fare, il Salento: puntare su «un turismo di classe, come quello che si svolge in Grecia, redditizio e ricco, e certo meglio di un'industrializzazione assurda e asfittica».
I dati di questi giorni dicono che il turismo è davvero la chiave della ricchezza salentina. L`Apt gongola sventolando un aumento del 5%, che in questi tempi di magra vale doppio. E contribuisce a «collocare il Salento ai vertici della classifica nazionale». Italiani, soprattutto. Ma anche tanti stranieri. In testa tedeschi, francesi e inglesi.
Vengono per vedere la cattedrale di Otranto e inginocchiarsi davanti alle reliquie dei morti nella strage del 1480 ed emozionarsi nel leggere che il corpo senza testa di Antonio Pezzulla detto il Primaldo, il primo degli ottocento martiri di Otranto a venire decapitato per ordine del Gran Visir Achmet «lo Sdentato», «si alzò e restò in piedi fino al termine della strage e non ci fu forza che valesse ad atterrarlo». E poi vengono per le orecchiette e i turcinieddhri e le `ncarteddhrate e tutte le altre leccornie della formidabile cucina salentina e il suo olio e il suo vino. E vengono per la notte della Taranta, quando a fine agosto accorrono in decine di migliaia a Melpignano per ballare e ballare fino a uscir di senno con la «pizzica pizzica».
Ma verrebbero ancora, se il Salento fosse definitivamente stravolto da una edilizia aggressiva che ha già deturpato parte delle sue coste come a Porto Cesareo, San Cataldo o Ugento? Se le distese di ulivi che costituiscono la sua essenza fossero sistematicamente rase al suolo? Se questo panorama che trae la sua bellezza non dalla vertigine delle vette dolomitiche ma dalla dolcezza delle distese appena ondulate venisse trafitto da centinaia e centinaia di pale eoliche?
«Lecce, città dell`arte, / se ne infischia / di chi arriva e di chi parte», dice un vecchio ritornello usato dagli antifascisti il giorno in cui Achille Starace, il braccio destro di Mussolini che era nato a Sannicola, tornò in pompa magna della terra natia. E per certi versi la città è rimasta così come la vide Cavallari. Una città «aristocratica, spagnolesca, narcisista». In qualche modo «tagliata fuori dalla Puglia dinamica». Dove, nonostante l'orrore di certi quartieri residenziali e la bruttura della ragnatela di cavi neri che dovrebbe servire la metropolitana di superficie incompiuta da un mucchio di anni, è ancora emozionante camminare tra pietre e chiese di rara eleganza.
Il problema di chi arriverà ancora e di chi se ne andrà, però, esiste. E dipende dal rischio di un`accentuazione del degrado paesaggistico. Cinquantuno anni dopo, il reportage a puntate lungo le coste scritto da Pier Paolo Pasolini per la rivista «Successo» e riproposto nella versione integrale con il titolo «La lunga strada di sabbia» da Contrasto, va riletto: «In quello slanciato ammasso di case bianche, inanellato da lungomari e da moli, la gente vive una vita autonoma, quasi ricca, si direbbe, quasi non ci fosse soluzione di continuità con qualche periodo della storia antica, che io non so, né faccio in tempo a capire: il demone del viaggio mi sospinge giù, verso la punta estrema. Ci si arriva lentamente, mentre intorno la regione si trasforma, si muove in piccole ondulazioni, si ricopre d`ulivi. Santa Maria di Leuca si stende lungo il mare con una fila di villini liberty, lussuosi, rosei e bianchi, incrostati d'ornamenti, circondati da giardinetti...»
Fece una gran fatica, PPP, «nel sole feroce» ad arrivare fino alla punta estrema del tacco d'Italia, fino a questo splendido promontorio dove, come ha scritto Giuseppe Salvaggiulo nel libro collettivo «La colata» scritto con Andrea Garibaldi, Antonio Massari, Marco Preve e Ferruccio Sansa, «sei ancora sulla terra, ma ti senti già in mare».
E forse proprio per questo tanti viaggiatori ci vengono ancora: perché non è alla portata di tutti, appena fuori da uno svincolo autostradale come tanti vacanzifici traboccanti di discoteche, bazar e McDonald. Perché arrivarci costa fatica. E questa fatica appare loro in qualche modo obbligata per assaporare il gran premio finale: la vista su un mare di una bellezza che ti mozza il fiato. Diceva il poeta e saggista Franco Antonicelli, in occasione di un lontano viaggio con Italo Calvino: «Anche Reggio Calabria è alla fine della penisola, ma subito dopo c'è l'isola e subito dopo l'Africa; non c'è tempo di perdersi. Ma a Leuca sì...» Di là del promontorio c'è il mare. Solo il mare.
«Uffa!», sbottano gli «sviluppisti». E dicono che no, anche il luogo più lontano d'Italia, quello che partecipò al processo unitario solo con Liborio Romano, di cui parla Nico Perrone, deve essere collegato al resto del mondo con una superstrada. Un'arteria che dovrebbe partire da Maglie e scendere giù per 40 chilometri, con le sue 4 corsie per 22 metri complessivi e un viadotto di 500 metri su 26 piloni di cemento fino a una mastodontica rotonda del diametro di 450 metri, lunga un chilometro e mezzo, che intrappola un'area estesa quanto 23 campi di calcio.
Una mostruosità, dicono gli ambientalisti. Che stanno dando battaglia a colpi di ricorsi un po' a tutto. Alla superstrada voluta da Raffaele Fitto, il giovane ministro amatissimo da Berlu-sconi e figlio di quella Maglie che in passato aveva dato all`Italia uomini della statura di Aldo Moro. A ulteriori cementificazioni di coste già abbruttite da lottizzazioni selvagge. Al progetto spropositato di quadruplicare il santuario di Santa Maria de Finibus Terrae svettante su Santa Maria di Leuca e farne un edificio (citiamo ancora «La colata») di «ventiduemila metri cubi eretti su una superficie grande la metà di un campo di calcio per ospitare otto celebrazioni giornaliere, presbiterio con annesso palco per quaranta sacerdoti concelebranti, penitenzieria con almeno dieci postazioni confessionali, aule per catechesi e attività connesse»..
Battaglie difficili. Segnate a volte da sconfitte sconcertanti. Come quella della sentenza sulla Collina delle ninfe che ribaltava il verdetto del Tar che aveva accolto in pieno la tesi dell'avvocato Valeria Pellegrino spiegando che l'impianto eolico andava bloccato perché quei miti e quelle leggende millenarie avevano determinato «un legame tra le popolazioni che ruotano attorno all`area de qua che va ben oltre la percezione visiva e dunque fisica dei luoghi». O come un altro verdetto del Consiglio di Stato che, anche qui ribaltando il precedente giudizio del Tar che dava ragione all'avvocato di Italia Nostra Donato Saracino, ha accolto le tesi della società tedesca Schuco International. La quale aveva comprato terreni a Scorrano per metterci un mare di pannelli fotovoltaici per un totale di una quindicina di megawatt. Un impianto enorme. Frazionato in quattro pezzi diversi, con una furbizia «all'italiana», per stare al di sotto di certi limiti ed evitare la grana della Via, la valutazione dell'impatto ambientale.
Vi chiederete: come mai anche i tedeschi vengono a investire nel Salento? Perché nel nostro Paese del Sole, dove fino al 2006 si produceva con i pannelli 70 volte meno che nella «grigia» Germania, è stata fatta una scoperta: il «solare» può essere una manna. I dati dicono che nel 2009 l`elettricità da fonti rinnovabili è aumentata del 13%. Ma se l`eolico ha avuto una crescita del 35%, il fotovoltaico ha registrato in dodici mesi un boom: + 418%. Tredici volte di più.
Sia chiaro: come per le pale eoliche, anche per il fotovoltaico vale lo stesso discorso. C'è modo e modo, c'è luogo e luogo. Gli incentivi, qui, sono faraonici. Come in nessun Paese al mondo. In base alle regole introdotte nel 2007, per esempio, si prendono i soldi per l`elettricità prodotta anche per impianti microscopici. E tutto si scarica sulle tariffe: più energia rinnovabile viene prodotta, più le bollette sono care. La progressione è geometrica. Nel 2008 gli incentivi fotovoltaici hanno pesato sugli utenti per 11O milioni di euro? L'anno seguente sono triplicati: 344. Ovvero un sesto di quanto abbiamo speso per incentivare le fonti rinnovabili: oltre 2 miliardi di euro. Conto salito nel 2010 a 3 miliardi. «Quasi il 10% - ha detto il presidente dell`Auto- rità per l`Energia Alessandro Ortis -, dell`intero costo del sistema elettrico» nazionale perché «l'incentivo medio risulta pari a circa il doppio del valore dell`energia prodotta. Così paghiamo l`energia incentivata 3 volte quella convenzionale». E questo in un Paese dove già prima delI`esplosíone di questo business le bollette erano le più care d`Europa.
Ma è niente, rispetto alle previsioni dell`authoríty. La quale ipotizza, nel caso di raggiungimento degli obiettivi assegnati per il 2020 da Bruxelles ai vari Stati europei, una spesa aggiuntiva astronomica a carico di chi paga la bolletta: cinque miliardi l'anno per il 2015, sette per il 2020. Dei quali metà per i soli pannelli fotovoltaici. E questo, dice l'Autorità per l'energia, anche nel caso in cui gli incentivi vengano ridotti via via al 50%.
Il guaio supplementare è che in un territorio urbanizzato come quello italiano, i pannelli finiscono per rubare terreni all'agricoltura. Alla faccia dei dubbi che già negli anni Novanta aveva manifestato Carlo Rubbia secondo il quale «per soddisfare la metà del nostro futuro fabbisogno elettrico con l`energia solare servirebbero circa 22.000 chilometri quadrati di pannelli, un'area grande più o meno quanto tutta la Sardegna».
Ma sapete com`è fatta l`Italia: o tutto o niente. Così, dal totale disinteresse per le fonti rinnovabili, si è passati a un eccesso di incentivi. Mettetevi nei panni di un agricoltore: perché dovrebbe arare, seminare e trebbiare quando è molto meno faticoso e più redditizio riempire un campo di pannelli? E rieccoci in Puglia e nel Salento. Dove a chi installa meno d'un megawatt è sufficiente presentare, come abbiamo visto, una semplice Dia. Se la regione con più impianti fotovoltaici è la Lombardia (13.617), seguita da Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, la Puglia è quella che produce di più: 295 megawatt, dei quali 239 prodotti da 497 impianti collocati su terreni agricoli, per una superficie di 358 ettari. Viene dalla Puglia il 20% circa di tutta l'energia solare italiana, pari a 1.509 megawatt: potenza che richiede oltre 2.250 ettari di pannelli. Il Salento contribuisce alla produzione pugliese col 30%: vale a dire 87,6 megawatt, dei quali ben 76,6 su 115 ettari «rubati» all'agricoltura. Ma sono dati ufficiali che per Marcello Seclì sono già sfigurati dai nuovi impianti: «Il boom è nella seconda metà del 2009. In provincia di Lecce, secondo noi, sono già stati impegnati 2000 ettari, per la maggior parte non ancora collegati».
E potete scommettere che la corsa non cesserà molto presto. I nuovi incentivi stabiliti dal ministero per lo Sviluppo economico da mesi occupato ad interim da Berlusconi, variano da un minimo di 28 a un massimo di 44 centesimi di euro al chilovattora. Da quattro a sei volte più del prezzo medio (7 centesimi) dell'energia elettrica prodotta con sistemi tradizionali. Avanti così, perché un contadino dovrebbe piegare la schiena sulla terra?