- Registrato
- 23 Ottobre 2011
- Messaggi
- 21,343
- Punteggio reazioni
- 8,775
- Età
- 55
- Località
- Giugliano in Campania (NA)

Non sempre è facile per un giudice stabilire se si configura questo specifico reato (quando ci si trova in presenza di persone che non esercitano professionalmente un’attività con armi ed esplosivi).
Stiamo parlando dell’omessa custodia di armi, con riferimento agli articoli 20 e 20 bis della Legge n. 110 del 1975.
Bisogna dire che è una situazione abbastanza ricorrente nei processi penali; ultimamente la Corte di Cassazione ha affrontato e risolto uno di questi casi con la sentenza n. 16314 del 12 aprile 2018.
La fattispecie concreta è giunta sul tavolo della Suprema Corte dopo essere passata per il Tribunale, che aveva assolto l’imputato e della Corte d’Appello, che lo aveva invece condannato.
[h=2]Il fatto e la decisione in primo grado[/h]
Il Tribunale assolve l’imputato perché il fatto non sussiste.
L’imputazione consiste nell’inosservanza delle prescrizioni in materia di custodia di armi, per aver riposto all’interno della propria abitazione, in un mobile inidoneo (vetrinetta in legno a due ante e un cassetto aperto) due pistole cal. 6,35 e 7,65, due fucili, un caricatore con 12 cartucce cal. 7,65, due cartucciere con relative cartucce di vario calibro.
Armi tutte regolarmente denunciate.
Il figlio dell’imputato riesce a prendere le armi e spara, ferendo delle persone.
In occasione del sopralluogo le forze dell’ordine accertano che il luogo di custodia delle armi è un armadio metallico, con un vetro nella parte anteriore; le munizioni si trovano in un cassetto.
Il mobile, tipo rastrelliera, contiene le armi all’interno di scanalature ed è chiuso a chiave con serratura; i caricatori sono invece custoditi separatamente sotto al letto matrimoniale.
Il figlio in pratica con una sedia rompe il vetro del mobile e si impossessa delle armi.
Il Tribunale risolve il caso in questo modo: visto che non ricorrono le circostanze speciali ex art. 20 bis L. 110/75 (omessa custodia per impedirne l’uso a determinate categorie di soggetti), si applica l’art. 20 stessa legge.
Stando così le cose, assolve l’imputato dal momento che ha custodito le armi con la diligenza del buon padre di famiglia.
[h=2][/h]
[h=2]Il fatto e la decisione in secondo grado[/h]
La Corte di Appello la pensa in un modo completamente diverso.
Condanna infatti l’imputato visto che ritiene il mobile utilizzato per la custodia delle armi non idoneo allo scopo: il figlio infatti è riuscito con facilità ad impossessarsi dell’armamento, rompendo il vetro dell’anta frontale del mobile.
Mobile risultato privo di struttura interna blindata, con armi in piena vista; tra l’altro il giovane si impossessa pure delle munizioni, riuscendo a forzare la serratura del cassetto con un cacciavite.
In buona sostanza: la Corte pensa che in un caso come questo ricorra senza dubbio un obbligo di diligenza e perizia speciali a carico del detentore di armi (con presenza di un giovane ragazzo in casa, pure “sospetta” vittima di una patologia depressiva per un certo periodo di tempo per effetto di una delusione amorosa).
La Corte di Appello la pensa in un modo completamente diverso.
Condanna infatti l’imputato visto che ritiene il mobile utilizzato per la custodia delle armi non idoneo allo scopo: il figlio infatti è riuscito con facilità ad impossessarsi dell’armamento, rompendo il vetro dell’anta frontale del mobile.
Mobile risultato privo di struttura interna blindata, con armi in piena vista; tra l’altro il giovane si impossessa pure delle munizioni, riuscendo a forzare la serratura del cassetto con un cacciavite.
In buona sostanza: la Corte pensa che in un caso come questo ricorra senza dubbio un obbligo di diligenza e perizia speciali a carico del detentore di armi (con presenza di un giovane ragazzo in casa, pure “sospetta” vittima di una patologia depressiva per un certo periodo di tempo per effetto di una delusione amorosa).
[h=2]La decisione in Cassazione[/h]
Ebbene, il primo motivo di ricorso (violazione dell’art. 20 Legge n. 110/75) viene accolto in favore dell’imputato.
La difesa sostiene l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione.
Innanzitutto fa presente che il mobile è una solida rastrelliera e non una vetrina (il cui vetro ha tra l’altro resistito bene a un pugno sferrato in occasione di un incendio).
Poi mette in evidenza che il proprietario non è tenuto ad adottare particolari misure atte a resistere ad azioni illecite di terzi, né può essere chiamato ad una specifica o superiore diligenza per il fatto che il figlio è un po’ giù per amore e si deprime.
In pratica, la Corte torna a quella che è stata la prima decisione favorevole all’imputato: qui si può applicare solo l’art. 20 e non l’art. 20 bis come ipotesi speciale (obbligo di custodia rafforzato).
Le due contravvenzioni sono infatti in un rapporto di specialità tra loro: la prima stabilisce un generale dovere di diligenza a tutti i possessori di armi per impedire ad altri di impossessarsene, la seconda impone l’obbligo di evitare che possano venire in contatto con esse categorie di persone (minori, inesperti, tossicodipendenti…) per le quali il maneggio di armi è considerato più pericoloso.
Ebbene, il primo motivo di ricorso (violazione dell’art. 20 Legge n. 110/75) viene accolto in favore dell’imputato.
La difesa sostiene l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione.
Innanzitutto fa presente che il mobile è una solida rastrelliera e non una vetrina (il cui vetro ha tra l’altro resistito bene a un pugno sferrato in occasione di un incendio).
Poi mette in evidenza che il proprietario non è tenuto ad adottare particolari misure atte a resistere ad azioni illecite di terzi, né può essere chiamato ad una specifica o superiore diligenza per il fatto che il figlio è un po’ giù per amore e si deprime.
In pratica, la Corte torna a quella che è stata la prima decisione favorevole all’imputato: qui si può applicare solo l’art. 20 e non l’art. 20 bis come ipotesi speciale (obbligo di custodia rafforzato).
Le due contravvenzioni sono infatti in un rapporto di specialità tra loro: la prima stabilisce un generale dovere di diligenza a tutti i possessori di armi per impedire ad altri di impossessarsene, la seconda impone l’obbligo di evitare che possano venire in contatto con esse categorie di persone (minori, inesperti, tossicodipendenti…) per le quali il maneggio di armi è considerato più pericoloso.
[h=2]La soluzione[/h]
Il segnalato articolo 20 dice che la custodia delle armi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica.
Si tratta di un obbligo che si può ritenere adempiuto (quando non si tratta di soggetti che svolgono professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi) quando vengono adottate quelle cautele minime che di regola possono chiedersi ad una persona di normale prudenza.
Nel caso trattato, le armi sono custodite dentro una rastrelliera con vetro rinforzato chiuso a chiave in una stanza, a sua volta chiusa a chiave; i caricatori separati sotto il materasso della camera. La casa non è frequentata da minorenni.
Quindi, non è richiesto l’approntamento di una cassaforte, camera blindata o altro di questo tipo.
Il segnalato articolo 20 dice che la custodia delle armi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica.
Si tratta di un obbligo che si può ritenere adempiuto (quando non si tratta di soggetti che svolgono professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi) quando vengono adottate quelle cautele minime che di regola possono chiedersi ad una persona di normale prudenza.
Nel caso trattato, le armi sono custodite dentro una rastrelliera con vetro rinforzato chiuso a chiave in una stanza, a sua volta chiusa a chiave; i caricatori separati sotto il materasso della camera. La casa non è frequentata da minorenni.
Quindi, non è richiesto l’approntamento di una cassaforte, camera blindata o altro di questo tipo.
Avv. Francesco Pandolfi
Fonte:miaconsulenza.it