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Adesso che le ultime transumanze sono arrivate a destinazione (a dire il vero sono ormai poche quelle a piedi senza l’ausilio di mezzi) vien da chiedersi cosa resta, se resta, di quel traffico di animali e persone sulle vie dei ‘tratturi’.
Resta senza dubbio una cultura antichissima, di civiltà, sapienza e tradizione gastronomica importante. Per me, che ho partecipato due volte ad una transumanza con i pastori (i Cozz) di San Giovanni Rotondo, resta di più, resta l’idea di un ‘viaggio di sapore’, un percorso di sapienza, di storie e di erbe, di latte e di formaggi, e qualche volta di carni, di ‘muscisca’ in particolare, ovvero dei pezzi di carne stagionata che i pastori portavano sempre con loro durante la lunga assenza da casa, gli stessi con cui venivano accolti al loro ritorno a casa dalle mogli.
La muscisca pare abbia un origine araba. E infatti il nome sembra derivi proprio dalla parola ‘Mosammed’ che significa ‘cosa dura’. Per la preparazione della muscisca vengono utilizzati i tagli più magri, a base di carne di capra garganica, pecora o vitello (tradizionalmente di razza podolica) che, disossati e tagliati, formano delle strisce larghe 2-3 cm e lunghe 20-30 cm. Queste strisce di carne sono poi condite con sale, semi di finocchio selvatico, peperoncino e aglio.
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Essendo una preparazione tipicamente pastorale, le strisce di carne erano poste a seccare vicino al rifugio del pastore: appese con un filo di cotone sugli alberelli spinosi (specie peri selvatici e prugnoli) situati a poca distanza dalle “mandre”, godendo così della massima ventilazione e insolazione. Dopo un periodo di essiccazione variabile a seconda del periodo di insolazione e della ventilazione (in genere circa 20 giorni), il prodotto era pronto per essere consumato.