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Il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi e munizioni a soggetti ritenuti capaci di abusarne è connotato da ampia discrezionalità in considerazione del fatto che è attribuito con la finalità di tutelare l’ordine pubblico.
Il divieto di detenzione delle armi di cui all'art. 39 del R.D. 18.06.1931 n. 773 (T.U.L.P.S.), in quanto diretto ad evitare pericoli per la pubblica incolumità allontanando dalla disponibilità delle stesse, entro tempi brevissimi, il soggetto ritenuto capace di abusarne, è un provvedimento che ha insito in sé il carattere dell'urgenza ed è quindi caratterizzato dalle particolari esigenze di celerità che consentono di prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Analogamente, con riferimento al diverso provvedimento di revoca del porto d’armi - provvedimento finalizzato dall'art. art. 39 t.u. 18 giugno 1931 n. 773 a salvaguardare la collettività dal pericolo dell'uso delle armi da parte di un soggetto che
si ritiene capace di abusarne - ha di per sé il carattere dell'urgenza, per cui rientra fra gli atti per i quali l'art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241 consente di prescindere dalla previa comunicazione di avvio del procedimento.
Inoltre, il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi e munizioni a soggetti ritenuti capaci di abusarne è connotato da ampia discrezionalità in considerazione delle finalità per cui è attribuito, cioè la tutela dell'ordine pubblico.
In particolare, ai sensi dell'art. 39 T.U.L.P.S. il giudizio discrezionale formulato dal Prefetto in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore è sindacabile solo sotto il profilo dell'illogicità, in quanto la detenzione delle armi si caratterizza, da un lato, per un'intrinseca pericolosità e, dall'altro, per la tenuità di un interesse socialmente apprezzabile, con la conseguenza che per l'adozione del decreto di divieto è sufficiente il convincimento dell'Amministrazione in ordine alla possibilità che il detentore abusi dell'autorizzazione.
N. 01922/2010 REG.SEN.
N. 00134/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 134 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
MAGRO BRUNO, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Scaparone e Jacopo Gendre, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- del decreto prot. n. 17585/D area I/ter in data 07.11.2007, notificato il 26.11.2007, con il quale il Prefetto di Torino ha vietato al ricorrente la detenzione di qualsiasi tipo di arma e munizione;
nonché, con motivi aggiunti notificati il 26.03.2008,
- del decreto cat. 6.F/2008 in data 16.01.2008, notificato il 26.01.2008, con il quale il Questore di Torino ha revocato al ricorrente la licenza di porto di fucile per uso caccia;
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2010 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi l’avv. Scaparone per la parte ricorrente e l’avv. Prinzivalli per il Ministero resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il giorno 03.10.2007 due guardie venatorie del Servizio di Vigilanza della Regione Piemonte accertavano che il signor Magro Bruno esercitava la caccia in evidente stato di ebbrezza e a meno di 100 metri da abitazioni e luoghi di lavoro.
Con verbale di constatazione in pari data, così attestavano: “[…] Ad un certo punto il cacciatore ha iniziato a barcollare e si è accasciato per terra […], il cacciatore era in evidente stato di ebbrezza (parole biascicate, alito, incapacità di stare in piedi e di deambulare) […] lo stesso sig. Magro ha ripetutamente affermato di avere bevuto e di avere il diritto di cacciare […] continuava a barcollare e ad appoggiarsi al fucile […] cadeva nuovamente a terra […]”.
Con processo verbale n. 573/07/F del 03.10.2007, le suddette guardie venatorie contestavano al signor Magro la violazione dell’art. 21 comma
Il divieto di detenzione delle armi di cui all'art. 39 del R.D. 18.06.1931 n. 773 (T.U.L.P.S.), in quanto diretto ad evitare pericoli per la pubblica incolumità allontanando dalla disponibilità delle stesse, entro tempi brevissimi, il soggetto ritenuto capace di abusarne, è un provvedimento che ha insito in sé il carattere dell'urgenza ed è quindi caratterizzato dalle particolari esigenze di celerità che consentono di prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Analogamente, con riferimento al diverso provvedimento di revoca del porto d’armi - provvedimento finalizzato dall'art. art. 39 t.u. 18 giugno 1931 n. 773 a salvaguardare la collettività dal pericolo dell'uso delle armi da parte di un soggetto che
si ritiene capace di abusarne - ha di per sé il carattere dell'urgenza, per cui rientra fra gli atti per i quali l'art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241 consente di prescindere dalla previa comunicazione di avvio del procedimento.
Inoltre, il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi e munizioni a soggetti ritenuti capaci di abusarne è connotato da ampia discrezionalità in considerazione delle finalità per cui è attribuito, cioè la tutela dell'ordine pubblico.
In particolare, ai sensi dell'art. 39 T.U.L.P.S. il giudizio discrezionale formulato dal Prefetto in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore è sindacabile solo sotto il profilo dell'illogicità, in quanto la detenzione delle armi si caratterizza, da un lato, per un'intrinseca pericolosità e, dall'altro, per la tenuità di un interesse socialmente apprezzabile, con la conseguenza che per l'adozione del decreto di divieto è sufficiente il convincimento dell'Amministrazione in ordine alla possibilità che il detentore abusi dell'autorizzazione.
N. 01922/2010 REG.SEN.
N. 00134/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 134 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
MAGRO BRUNO, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Scaparone e Jacopo Gendre, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- del decreto prot. n. 17585/D area I/ter in data 07.11.2007, notificato il 26.11.2007, con il quale il Prefetto di Torino ha vietato al ricorrente la detenzione di qualsiasi tipo di arma e munizione;
nonché, con motivi aggiunti notificati il 26.03.2008,
- del decreto cat. 6.F/2008 in data 16.01.2008, notificato il 26.01.2008, con il quale il Questore di Torino ha revocato al ricorrente la licenza di porto di fucile per uso caccia;
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2010 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi l’avv. Scaparone per la parte ricorrente e l’avv. Prinzivalli per il Ministero resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il giorno 03.10.2007 due guardie venatorie del Servizio di Vigilanza della Regione Piemonte accertavano che il signor Magro Bruno esercitava la caccia in evidente stato di ebbrezza e a meno di 100 metri da abitazioni e luoghi di lavoro.
Con verbale di constatazione in pari data, così attestavano: “[…] Ad un certo punto il cacciatore ha iniziato a barcollare e si è accasciato per terra […], il cacciatore era in evidente stato di ebbrezza (parole biascicate, alito, incapacità di stare in piedi e di deambulare) […] lo stesso sig. Magro ha ripetutamente affermato di avere bevuto e di avere il diritto di cacciare […] continuava a barcollare e ad appoggiarsi al fucile […] cadeva nuovamente a terra […]”.
Con processo verbale n. 573/07/F del 03.10.2007, le suddette guardie venatorie contestavano al signor Magro la violazione dell’art. 21 comma